lunedì 9 novembre 2009

13. Qualcosa in comune: la stitichezza

Dopo due giorni di convivenza mi accorsi che io e le mie coinquiline non avevamo praticamente niente in comune.
Quelle erano cattoliche sfegatate. Io no.
Non facevano la raccolta differenziata. Io si.
Non erano mai andate oltre Roma. Io si.
Non leggevano libri dai tempi della scuola. Io cercavo di leggere tutti i giorni.
Quelle amavano le fiction italiane tipo Un Medico in Famiglia e I Cesaroni. Io guardavo raramente la TV e cambiavo canale quando, per sbaglio, trovavo quelle cose.
Dopo due giorni di convivenza, cominciai a pianificare la mia FUGA dal bilocale.
Dovevo trovare una stanza tutta mia.
Nel frattempo scivolavano i giorni della prima settimana di lavoro.
La tiritera era sempre la stessa: sveglia alle 6:30, doccia e trucco, caffè, trenino alle 8:30, lezioni di lavoro dalle 9:00 fino alle 18:30. Cena a casa. Serata e notte sul divano letto.

Nonostante cercassi di abbozzare dei tentativi di integrazione, io e le coinquiline continuavamo a guardarci con diffidenza.
Avevo anche trovato delle cose in comune tra me e loro: LA NOSTALGIA DI CASA e LA STITICHEZZA.
Non ero mai stata stitica in vita mia. In tempi critici avevo avuto al più due giorni di magra, ma il terzo giorno mi ero sempre rifatta. La capacità di andare regolarmente era una delle cose di cui andavo sinceramente fiera. Cantavo sempre l’Inno del Corpo Sciolto di Benigni con soddisfazione.
Ma improvvisamente la mia vita era cambiata.
Non mi liberavo da quattro giorni. Un record. Il mio corpo non era mai stato abituato a tanto. Potevo avere dei seri problemi. Potevo finire all’ospedale per questo.
Ero disperata.

Cercai un po’ di conforto negli amici più stitici che conoscevo: Uilli e Daniela.
Uilli era il primo amico che avessi avuto.
Ci conoscevamo dai tempi dell’asilo comunale, quando io avevo tre anni e piangevo e vomitavo tutto il giorno. Le maestre dell’asilo comunale mi terrorizzavano: erano due megere che potevano far tutto fuorché badare ai bambini. Innanzitutto erano bruttissime, e poi non avevano pazienza. C’era la signora Sisa, un donnone con la faccia da bulldog e col vocione duro e aspro. Era sempre vestita di nero, come la strega di Biancaneve. La signora Silvana invece era un cetriolo lungo lungo e stretto, con la voce acuta e antipatica. Assomigliava ad una delle sorelle di Cenerentola.
Non capivo perché facessero stare i bambini con i personaggi più cattivi e brutti delle favole.
In questo contesto triste e cupo, incontrai Uilli. Il suo vero nome era Antonio, ma tutti lo chiamavano Uilli.
Le poche volte che non piangevo e vomitavo era perché giocavo coi Uilli.
Poi la mamma mi portò in un asilo privato, dove incontrai Biancaneve e Cenerentola e finalmente smisi di disperarmi. C’era una maestrina che assomigliava alla Bella Addormentata nel Bosco che preparava i bimbi per la Primina. Uilli mi raggiunse dopo qualche mese e imparammo a leggere e a scrivere insieme. Poi ci perdemmo, e ci rincontrammo al primo anno di università. Mi riconobbe lui per primo: io ero rimasta più o meno uguale a prima, stesse guance e stessi capelli ricci. Uilli invece era cambiato: era alto quasi due metri, aveva i capelli lunghi fino al culo e, soprattutto, era nerd.
Un vero nerd.
Continuò a piacermi come all’asilo e anzi di più perché, col passare degli anni, era andato oltre. Era diventato quasi geniale.
Aveva un suo fuso orario, beveva come Bukowski, suonava vari strumenti e aveva uno spirito critico fuori dal comune.
Frequentammo le lezioni assieme per un paio d’anni, poi lui si trasferì alla facoltà di Informatica dell’Università di Pisa e io continuai i miei corsi a Reggio. Ma questa volta restammo in contatto.
Uilli era uno stitico cronico perché, da tipico nerd bukowskiano, aveva le sue buone abitudini.
Non andava in bagno per giorni e giorni. E la cosa non gli importava.
Mi disse che la momentanea stitichezza era la naturale conseguenza del cambiamento di casa/città. Mi sarei abituata presto e sarei ritornata a cacare regolarmente.
Daniela, detta La Gnura, era la mia amicona per eccellenza. Io adoravo abbracciarla e tastarla perché era tanto tanto grande, circa 130 Kg di morbidezza. Ti rannicchiavi accanto a lei, nel morbido, e ti sentivi a casa. La Gnura soffriva di stitichezza da sempre. Per lei, cinque giorni di magra erano del tutto normali e non ci faceva nemmeno caso. Quindi mi disse di aspettare semplicemente, di bere molto e mangiare quanta più verdura potessi.
La sera del quarto giorno di stitichezza, io e Giuseppa decidemmo di rompere il ghiaccio. Ci raccontammo le nostre paure sulla stitichezza senza nascondere nulla. Rossella era timida e si limitava ad ascoltare, ma si vedeva lontano un miglio che era più stitica di noi.
Quella fu l'unica occasione in cui io e le coinquiline scambiammo due chiacchiere con fervore e coinvolgimento.
La sera del quinto giorno, finalmente, riuscii ad uscire dall'impasse. Giuseppa e Rossella ci riuscirono la sera del sesto giorno.
Superato vittoriosamente il trauma, non ne parlammo più.

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