domenica 8 novembre 2009

10. La prima notte al residence

Trascinai l'Inquilino fino al parcheggio dei taxi, ne presi uno e arrivai al residence poco dopo le 21:00. C’erano un ampia e lussuosa reception e un tipo incravattato che guardava la TV.
“Ah! Te stavo aspettando! Te sei GIU-LIA, giusto?”
“Si. E tu sei il tipo con cui ho parlato al telefono l’altro giorno, giusto?”
“Si, si. So’ Fabrizio. Dai, sbrigate! Li atri so’ arivati du ore fa! Ormai se saranno presi ‘e parti più bone de’a casa.”
Era simpatico. Mi disse di lasciargli documenti e di cominciare a sistemarmi nel bilocale numero 125, al terzo piano. Dopo sarei scesa a firmare i moduli e a prendere la chiave per l’accesso wireless ad Internet.
La porta 125 era aperta. Sembrava che dentro ci fosse una riunione, c’erano almeno sette persone che chiacchieravano. Mi avvicinai piano piano e mi sporsi dentro. Eccoli li, finalmente.
Due ragazze. Giuseppa e Rossella. Nove ragazzi. Tutti giovanissimi, come me.
Entrai e ruppi il chiacchiericcio:
“Ciao! io sono Giulia.”
Strinsi la mano a tutti. Non riuscii a memorizzare nemmeno un nome maschile. Erano troppe facce nuove e tutte insieme. Mi concentrai sulle ragazze. Rossella aveva il viso dolce e le guance rosa. Giuseppa era minuta e magrissima: il suo cognome Piccolo calzava a pennello. Nonostante le dimensioni ristrette, aveva qualcosa di aggressivo. Aveva la carnagione chiara, i capelli erano tinti di biondo ma le sopracciglia erano rimaste nere e foltissime. Se non avesse usato la ceretta avrebbe avuto un monociglione gigante.
Non ebbi tempo per fare altre considerazioni, i ragazzi si stavano organizzando per la cena.
“Vieni con noi? Dovrebbe esserci una pizzeria proprio accanto al residence.”
“No, grazie. Sono arrivata troppo tardi e sono stanchissima. Comincio a sistemare le mie cose e vado a letto.”
Appena uscirono, cominciai a guardarmi intorno.
Il bilocale aveva un ingresso che dava direttamente sul soggiorno. Poi c’era una piccola cucina, il bagno e un breve corridoio che portava nella camera da letto.
Per prima cosa entrai nella camera da letto.
C’erano solo due lettini coi comodini, un armadio e un cassettone con sopra la televisione.
Le coinquiline si erano già accomodate, anzi sembrava che abitassero lì da mesi. Avevano già disfatto le valige e messo tutti i loro vestiti nell’armadio, avevano lasciato il pigiamino sul letto e sui comodini avevano creato una specie di altarino con immaginette di Padre Pio e suoi affini. Nel cassettone avevano messo la biancheria intima: mutande, reggiseni, canotte, uh … una delle due adorava il pizzo nero.
Problema: dove diavolo avrei ficcato le MIE cose?
Avevano riempito TUTTO.
Il mio guardaroba era molto molto più scarno del loro, non avevo nessun tipo di biancheria di pizzo e non avevo nessuna intenzione di creare altarini. Mi serviva un armadietto, o magari qualche cassetto.
Lasciai la camera da letto e mi spostai nel corridoio: c’era un piccolo armadio a muro. Tirai un sospiro di sollievo: era perfetto, quello sarebbe stato tutto mio.
Lo aprii. NO. Non potevo crederci: si erano appropriate anche di quello. Ci avevano messo le valige vuote e le scarpe.
“Roar. Dobbiamo proprio cominciare a discutere di alcune cosette io e voi.”
Tornai nel soggiorno: un divano letto di fronte alla porta di ingresso, un tavolo da pranzo con tre sedie. Sul tavolo da pranzo le ragazze avevano appoggiato i loro computer portatili.
Addio privacy.
Accanto al divano c’era un tavolino basso, di vetro. Ci appoggiai sopra la valigia. Quel piccolo salotto sarebbe diventato il mio accampamento. Tolsi i cuscini dal divano e tirai fuori il letto. Il materasso era bello duro, almeno non avrei dormito scomoda. Mi sdraiai.
Track! Track!
Quella stramaledetta brandina cigolava ad ogni movimento.
Ero troppo stanca per arrabbiarmi. E soprattutto mi sentivo triste e abbandonata.
Indossai il pigiama e mi attaccai al telefono. Casa, PM, amiche. Avevo bisogno di loro.
Poi mi ricordai di Fabrizio e scesi in reception.
Il tipo mi restituì i documenti e mi chiese come stavo.
“Sono triste.”
“Nuuu. E perché se’ triste? Dovresti esse’ contenta. No’o sai che Roma è una città bellissima?!? E anche teribile. Fuori c’è vita. Se esci, poi non vuoi più torna’ a casa. Fidate.”
“Mi fido.”
“E poi … io adesso sto a riprende er motorino. Se vuoi, a la prima serata libera te porto in giro e te faccio conosce er mondo de’ qua.”
Il tipo ci sapeva fare con l'accoglienza.
Lo ringraziai e tornai al bilocale.
Quando le ragazze tornarono scambiai due chiacchiere di cortesia e le salutai per la buona notte. Non vedevo l’ora che si levassero dai piedi, volevo restare da sola col mio divano letto.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio: ero spaventata dall’idea del primo giorno di lavoro e mi mancava terribilmente casa.

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