martedì 29 dicembre 2009

27. Arrivano le vacanze di Pasqua anche per il consulente.

Il venerdì di Pasqua presi l’ultimo aereo della sera e tornai a casa.
Ero la persona più felice del mondo: tre giorni di vacanza, il focolare domestico e le uova di cioccolata.
Ah! Benedette feste cristiane! Se non ci fossero state, come avrei fatto?
Il giorno di Pasqua mangiai di gusto.
Era da almeno due mesi che non facevo un VERO pranzo.
Toast, panini o piadine erano all'ordine del giorno.
Quando lavori minimo 8 ore al giorno e ne impieghi 2 di viaggio andata/ritorno la cucina mediterranea te la puoi sognare.
E invece... il giorno di Pasqua avevo davanti un vero piatto di pasta, con un vero sugo di vero pesce.
Non erano mica i bastoncini di merluzzo surgelato che compravo per cena.
Era un vero pane quello che avevo davanti, non la baguette scongelata e rivenduta al supermercato.
Ah! Il cibo Mediterraneo.
Ah! La pasticceria del Sud.


Ah! Il cannolo.
Il Dio Cannolo con Ricotta e Pistacchi. Lo venerai.
Dedicai il giorno di Pasqua alla famiglia, agli amici e alla panza.
Poi trascorsi il lunedì di Pasquetta a casa, in profondo relax, senza alcuna voglia di mettere il naso fuori.
Ero già abbastanza appagata, ma la doccia fu il non plus ultra del godimento.
Una vera doccia, con l’acqua calda di una caldaia a metano.
A Roma avevo uno scaldino che si esauriva dopo 8 minuti.
Quella stessa sera preparai lo zaino per la partenza: l’indomani sarei tornata a fare il consulente.
Diventai di pessimo umore.
Iniziai ad imprecare contro le aziende di consulenza multinazionali che offrivano servizi a basso costo, incoraggiando le aziende parastatali a non fare assunzioni proprie. Imprecavo contro il clientelismo e l’arretratezza della mia terra. Imprecavo contro la ‘ndrangheta e contro la pigrizia e l’immobilità dei calabresi.
Tomasi di Lampedusa aveva scritto che la Sicilia, col suo clima duro e i suoi luoghi d’inferno e paradiso, desiderava il sonno e l’oblio e il nulla.
L’abitudine a lasciarsi vivere e farsi condizionare da fatalità esteriori mi sembrava accomunare tutti gli italiani del Sud.
Inutile investire in una terra sterile, non sboccerà mai niente.
E' questo che pensano tutti.
E anch'io, purtroppo.
La mattina dopo presi l’aereo e tornai a lavoro.

domenica 27 dicembre 2009

26. La consulenza può creare un mostro.

In quel periodo feci amicizia con due consulenti che lavoravano per due diverse aziende di livello nazionale (non multinazionale, eh!).
Si chiamavano Pippo e Marco.
Pippo aveva circa quarant'anni, due figli piccoli e un posto di lavoro in bilico. La sua azienda era sull’orlo del fallimento: alcuni mesi lo pagava, altri no. Non era riuscito a trovare un altro impiego e restava sotto scacco.
Non c’era da stupirsi che fosse sempre scoglionato, che arrivasse in ufficio sempre per ultimo e se ne andasse sempre per primo.
Era lento e all'apparenza tranquillo, e qualcuno diceva che portasse delle lenti a contatto a forma di occhi aperti.
Marco invece aveva 27 anni, una laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni (come me) e un anno di carriera come consultant junior. Il suo lavoro in Mechanix era tutto basato su Internet e consisteva nel cercarsi un altro lavoro e seguire le news dell'Inter.
Dopo qualche mese, quelli di Mechanix gli annullarono la commessa e lo rispedirono alla sua azienda.
Io ci restai davvero male perché avevamo molti punti di vista in comune. Anche lui era del tutto scontento del suo ruolo di operaio programmatore: “Te sei un pischello che studia e s’ammazza pe’cinque anni - minimo - e poi se aritrova a fa’ er lavoro de uno che è appena uscito dar tecnico industriale.”
Aveva cercato in lungo in largo un posto che avesse a che fare con le telecomunicazioni, non l’aveva ancora trovato e continuava a cercare.
Andava avanti con questa filosofia: “Io c’ho provato a seguì er core. Adesso seguo i sordi. Sto lavoro non me piace ma è mejo de’n carcio a li cojoni.”
Marco sapeva un sacco di cose utili.
Mi disse che, nonostante l’utilizzo obbligatorio del badge, i nostri orari non erano controllati come quelli degli interni.
Noi potevamo entrare e uscire a piacimento. Ovviamente con discrezione.
Quando mi vide interessata alla possibilità di lavorare nell'Azienda Parastatale come interna e non più come consulente, mi chiese se avevo dei SANTI.
Gli chiesi che intendeva per "SANTI".
Lui si mise a ridere.
Mi disse che ormai le assunzioni coinvolgevano solo due tipi di candidati: i consulenti che avevano lavorato per almeno dieci anni in un progetto e che ormai erano diventati insostituibili e quelli che avevano I SANTI.
Il SANTO poteva essere un senatore, un politico, un generale, un nobile facoltoso. Insomma qualcuno particolarmente influente.
No, gli dissi, non conoscevo nessun SANTO.
E tornai assai delusa alla mia odiosa attività di bug fixing.
Arnaldo si scaccolava e imparava a fare il coordinatore delle attività del progetto. Si dimostrò subito molto skillato in questo settore.

Sapeva il fatto suo.
Stabilì che io e il pisano (che restava ANCORA - dopo due mesi - in attesa del nuovo portatile), avremmo fatto bug fixing, mentre lui si sarebbe sobbarcato una gravosa responsabilità: sarebbe stato il nostro supervisore.
Arnaldo era il classico supervisore italiano: quello che non supervisiona assolutamente nulla e lascia fare agli altri.
Potevo fare cazzate astronomiche. Lui se ne sarebbe fottuto altamente.
E comunque non aveva gli strumenti per capire se facevo cazzate.
Questa cosa un pò mi divertiva e un pò mi turbava.
Potevo creare un mostro senza che nessuno se ne accorgesse.

giovedì 3 dicembre 2009

25. L'uomo di fumo e l'uomo di naso

Avevo avuto la fortuna di entrare in un progetto nuovo di zecca.
I task andavano ancora definiti e si prospettava una fase di start-up di almeno quattro settimane.
Le giornate passavano tra chiacchiere, riunioni e tanta, tantissima FUFFA.
Non era affatto male.
Non facevo praticamente nulla: ascoltavo discorsi ripetitivi e prendevo qualche appunto di tanto in tanto.
C'erano criticità a destra e a sinistra.
Lo sentivo dire continuamente: "L'attività potrebbe riscontrare questa criticità... e bla bla bla...".
Ero passata da un lavoro con ritmi disumani a un lavoro di nullafacenza.
Ovviamente era solo un periodo transitorio. Quella calma non sarebbe durata a lungo. Anzi, ero più che convinta che presto l'avrei pagata a caro prezzo.
Iniziai a conoscere meglio i miei due colleghi di team.
Il pisano Guido era un cultore della nobile arte del FUMO.
Riusciva a restare seduto per mezz’ora al massimo, poi cominciava a smaniare e diventava inquieto.
Allora usciva fuori, si gustava una sigaretta e tornava dentro rinato.
Non c'erano cazzi: trascorsi i 30 minuti doveva fumare.
Se eravamo nel mezzo di una riunione, trovava una scusa:
“Perdonatemi, vado un attimo in bagno”;
“Scusate, devo fare una telefonata urgente”;
“Scusate, devo chiamare casa per sapere come stanno i bambini.”
Aveva la carnagione scurissima e i denti di un giallo splendente.
Arnaldo invece era un omone gommoso con un doppio mento gigantesco.
In presenza del cliente cercava di assumere la postura e i toni del professionista.
Appena il cliente se ne andava, sbracava i suoi 120 chili sulla sedia e si faceva i cazzi suoi su Internet. Non lo si doveva assolutamente disturbare.
Era taccagno fino alla maleducazione e l’avevo imparato dal primo giorno.
Allora ignoravo che la mensa interna faceva servizio soltanto se si presentava un buono pasto rilasciato da Mechanix.
Chi non possedeva i buoni doveva acquistarli alla mensa stessa, in un unico blocco da dieci, per una spesa totale di sessanta euro.
Controllai il portafogli ma non arrivavo alla cifra.
Mechanix era circondata dal NULLA: tutt'intorno c'erano solo deserto e aziende. Non c'era nessun altra tavola calda dove mangiare.
“Se vuoi, ti VENDO un buono pasto. Hai almeno sei euro?”, mi disse Arnaldo.
Gli diedi i soldi e andai a mensa con lui. Ma quella fu la prima e l’ultima volta: mi sarei portata la merenda da casa.

Trascorse le prime tre settimane di adattamento, saltò fuori che per l’attività di bug fixing bisognava usare un programma molto pesante che richiedeva un PC con 4 giga di RAM.
L’unica ad avercelo ero io. Quindi si stabilì che cominciassi a lavorare SOLO io.
Arnaldo e Guido inoltrarono una richiesta al capo progetto e, in attesa dell’arrivo del nuovo PC, si inventarono delle attività alternative.
Guido tornò a Pisa e Arnaldo restò con me a Roma.
Passava tutta la giornata a studiare su Internet. Non diceva una parola e si scaccolava in continuazione.
Avete capito bene. Si scaccolava.
Quando era concentrato nella sua navigazione si dimenticava del mondo esterno.
Si ficcava mezzo dito nel naso, raccoglieva una pallina di muco e ...
Vi risparmio questo strazio.
In quei momenti mi faceva davvero schifo.

giovedì 26 novembre 2009

24. Ronzando sull'azienda parastatale

Il primo giorno nella sede del cliente fu decisamente formativo.
Sperimentai degli aspetti della vita del consulente che prima ignoravo del tutto.

Un conto è fare il consulente nella propria azienda, un conto è andare a casa del cliente.

Imparai subito che esisteva una suddivisione sacrale invalicabile all'interno comunità: prima c'era l'uomo
INTERNO e dopo, in basso, c'era l'uomo ESTERNO. Io ero una esterna, una specie di extra-comunitaria.
Mi sentivo una mosca che ronzava attorno allo zucchero.

Eravamo in centinaia a ronzare attorno all'azienda parastatale.
Ronzavamo invidiando intensamente i dipendenti interni. Quelli avevano un posto sicuro coi contributi dello Stato.
Non avevo mai visto tanti consulenti in vita mia. Li riconoscevo dal badge provvisorio che tenevano in bella vista sul petto.
Quanto al lavoro, c'era un software chiamato AirFun che andava continuamente in crash. L'ennesimo software progettato male e implementato ancora peggio.
Lo scopo del progetto era tentare di individuare le cause di questi malfunzionamenti e fare le correzioni opportune.

Bug fixing.

Ovviamente il software era già stato messo sul mercato e le modifiche sarebbero diventate degli upgrade.
L'uomo Interno che avevo conosciuto al colloquio di presentazione, Christian Bonni, era il responsabile dello sviluppo di AirFun. Mi spiegò che l'implementazione di AirFun era stata fatta a cazzo di cane perchè, nel corso degli anni, ci avevano messo mano centinaia di consulenti diversi e ognuno di loro era stato costretto a rispettare scadenze ristrettissime. Ogni consulente restava sul progetto circa due o tre anni e poi, alla fine del progetto, se ne andava lasciando parti di codice incompiute o sibilline o semplicemente bacate.
Per conoscere AirFun, che aveva milioni di righe di codice, una persona di media intelligenza avrebbe impiegato almeno due anni.
Non c’era proprio tempo per fare le cose per bene.

Gli Interni erano pochi e avevano per lo più ruoli direttivi.
L'implementazione era compito del consulente.

Insomma, a causa della cattiva organizzazione, della fretta e della mancanza di soldi, AirFun era diventato un grandissimo casino.
Bonni ci accompagnò nel luogo dove avremmo lavorato.
Era uno squallido ufficio a pianterreno, una specie di garage, in cui erano ammassati tanti server. Polvere, ragnatele dappertutto e aria condizionata a palla.
C’erano dei banconi da lavoro mezzi vuoti. Potevamo appoggiare i nostri computer dove trovavamo posto.

E tanti saluti.
Non c’erano postazioni assegnate anzi, per essere precisi, non era previsto che gente esterna avesse una postazione in cui lavorare.
Ovviamente una connessione ad Internet era tabù: noi eravamo degli abusivi e non dovevamo avere accesso alla rete interna di Mechanix.

Questa era la teoria.
Nella pratica, per fortuna, ci si poteva industriare:
i sistemisti di rete non effettuavano controlli rigorosi sull'attività dei consulenti.
Alcuni coraggiosi avevano perfino installato – abusivamente – un proxi che consentiva l’accesso – abusivo – ad Internet.

Dovevamo solo trovare delle prese di rete abilitate.
Scandagliammo tutto lo stanzone, frugammo tra le ragnatele e, alla fine, trovammo un'unica presa di rete funzionante.
In un angolo, in compagnia di una decina di ragni e di uno scarafaggio, c'era un vecchio switch abbandonato.
Funzionava ancora.
Avevamo la rete. La nostra nuova postazione era pronta.

mercoledì 25 novembre 2009

23. Nuovi colleghi licenziati

Il sito dell’ATAC mi elencò i mezzi pubblici per raggiungere Mechanix: Autobus numero 64 fino alla Stazione Termini, poi metro B fino al capolinea, poi un autobus per procedere lungo la Tiburtina. Circa 90 minuti di viaggio.
Per non sbagliare, comprai un abbonamento mensile ai trasporti pubblici.

PM era venuto a trovarmi venerdì sera ma realizzai che era davvero accanto a me soltanto la domenica mattina.
Domenica, il sacro giorno della depurazione.
Abbigliamento turistico, colazione al sacco e via per le stradine del centro. Ci fermammo nella piazza del Vaticano, poi raggiungemmo l’ex-ghetto ebraico e l’isola Tiberina. Roma era bellissima, sentivo bisbigli di storia ad ogni angolo.
Avrei passato mesi e mesi a zonzo per quelle strade. Un giorno alla settimana proprio non mi bastava.
Lo stato di grazia durò fino all’ora di cena, poi il pensiero del lunedì mattina cominciò a crescere in maniera abominevole.
Misi tre sveglie: una alle 6:00, una alle 6:10, una alle 6:15. Mi sarei alzata di sicuro.
Festeggiai l'inizio del nuovo progetto con mezzo litro di birra scadente e mi buttai sul letto con un piacevole senso di vertigine.
Il mattino dopo, alle 6:00 in punto, avevo gli occhi spalancati e i peli dritti: cominciava la nuova avventura.
Mi chiusi in bagno e ne uscii dimagrita di almeno un chilo.
Paura. Eccitazione. Puzza.
Il cesso dell'abbaino non aveva uno scarico normale né un vero sciacquone. Aveva un trituratore di escrementi elettrico che non funzionava nemmeno troppo bene.
Il Frullamerda non doveva essere stressato, altrimenti si bloccava per delle ore.
Iniziava a fare dei rumori strani, tipo bzzzzz bzzzzz, e lasciava il cesso intasato.
In genere era PM a scatenare l'incidente.
E dopo arrivavano le mie reazioni di panico e di indignazione.
"Non puoi intasarmi il cesso tutte le settimane.
La prossima volta vai al bar!
Ma non riesci proprio a controllarti?!?
Non puoi fermarti quando capisci che stai iniziando ad esagerare?!?"
Seguivano lunghe discussioni sulla dinamica della defecazione.
Diventavo proprio una iena, ma avevo le mie ragioni.
Quella mattina, per la prima volta, il Frullamerda si guastò per causa mia.
Era una situazione incresciosa, ma non avevamo tempo per parlarne.
Alle 8:00 eravamo già a Termini: PM al binario della Freccia Rossa per Firenze, io alla banchina della metro.
Era strapiena di pendolari.
Dall’altoparlante uscì una vocina:
“Il treno in arrivo è estremamente affollato. Evitate di salire. È già in partenza un altro treno da Cavour.”
Lo ripeté tre volte.
Io ero già in ritardo, col cazzo che avrei aspettato l’altro treno.
Cercai di farmi spazio per arrivare al limite della linea gialla. Quando il treno arrivò, tra spintoni e manate, riuscii a salire. Stavamo stretti come sardine, faceva caldo e c’era puzza, tanto per cambiare.
Raggiunsi la sede del cliente sudaticcia e sgualcita, ma ero in orario.
In reception incontrai Arnaldo e Guido, i miei due nuovi colleghi di team.
Quando vidi Arnaldo per la prima volta, pensai che era davvero, ma davvero bruttissimo. Mi porse una mano gigantesca, che ben s’intonava con la sua mole di quasi due metri.
Aveva la carnagione scurissima e portava una camicia spiegazzata infilata in un paio di jeans consumati che cercavano disperatamente di contenere una pancia trasbordante.
Sembrava gommoso.
Scoprii che aveva lavorato in una famosa azienda di telecomunicazioni per quindici anni ed era stato licenziato durante i primi mesi della crisi, dopo una lunga agonia di scioperi e manifestazioni.
Per mantenere moglie e figli, Arnaldo si era subito dato da fare. Prima aveva rimediato un lavoro a Milano, poi era riuscito a rientrare a Roma grazie ad un contratto a progetto con TalenTeam.
Il secondo consulente era un pisano di nome Guido, un tipo tracagnotto che aveva lavorato una decina d’anni in un'altra famosa azienda di telecomunicazioni, la S.I.SMEN, come consulente di TalenTeam.
A causa della crisi, la S.I.SMEN di Pisa aveva ben presto annullato tutti i contratti con TalenTeam e una quarantina di consulenti, tra cui Guido, si erano ritrovati senza commessa.
Guido era stato licenziato e poi riammesso con un contratto a progetto che gli avrebbe permesso di lavorare dalla sede di Pisa, facendo qualche scappatella a Roma di tanto in tanto.
A quarant’anni suonati, Arnaldo e Guido erano stati catapultati dentro una nuova realtà e avrebbero lavorato per un cliente del tutto sconosciuto.
Dinamismo e flessibilità sono le principali virtù del consulente, ma la memoria di un uomo di quasi cinquant'anni non è quella di un ventenne.
Capii che non sarei stata l’unica a brancolare nel buio. Anzi, essendo una giovane tabula rasa, avrei potuto avere qualche punto di vantaggio su di loro.


martedì 24 novembre 2009

22. Passaggio di consegne e consigli per presentarsi al cliente

Mi erano rimasti solo tre giorni per ultimare il passaggio di consegne, poi sarei entrata nel nuovo progetto a tempo pieno.
All'inizio pensavo che passare le consegne significasse semplicemente delegare un sostituto.
Già mi ci vedevo nel passaggio di consegne, con l'aria tronfia e soddisfatta a dire:
"Tieni, ragazzo. Finisci il lavoro che IO ho cominciato."
Il project manager Rosario Mori invece aveva un'altra visione del passaggio di consegne: "Cerca di ultimare tutto il lavoro che ti è stato assegnato. Non lasciare niente in sospeso, altrimenti NOI continueremo ad aver bisogno di te e TU dovrai continuare a venire il sabato."
"Glom. Il sabato, dici?"
"Certo. Non vorrai mica mancare dal cliente durante i giorni feriali?!? Mechanix normalmente è chiusa di sabato. Quindi, se c'è bisogno, potrai tornare qui."
Il tutor Enzo Vanni era livido. Incazzato nero.
Non pensava che il mio trasferimento sarebbe arrivato così presto.
Avrebbe perso una risorsa che non sarebbe stata reintegrata in tempi brevi. E lui doveva comunque mantenere lo stesso rendimento.
Sudava sempre di più, si incazzava sempre di più.
Forse non era all'altezza della situazione o forse, semplicemente, rischiava di perdere il posto.
Mori invece era sempre fresco come un quarto di pollo.
Ti chiedeva di fare gli straordinari, ti chiedeva di dare il massimo, ti inculava alla grande, però si manteneva sempre calmo e ti trasmetteva sicurezza.
"La situazione è sotto controllo, non preoccuparti", ti diceva.
Ci sapeva fare.
Sapeva come prenderti.
Ti inculava fino in fondo, però tu restavi col sorriso e quasi lo ringraziavi. Era davvero un grande nel suo lavoro.
"La situazione è sotto controllo, Giulia. Se non finisci il lavoro entro questi tre giorni, potrai tornare i sabati successivi. Se la cosa dovesse prolungarsi troppo, chiederò a Luca di darti una mano. Non preoccuparti, non voglio lasciarti a cavallo di due progetti. Non mi conviene."
Non vedevo l'ora di levarmi di dosso quel dannato progetto TeTi.
Era Mercoledì. Mi restavano Giovedì, Venerdì e Sabato per chiudere tutto.
Quei giorni lavorai come un'ossessa.
Arrivavo in ufficio alle 9:00 e tiravo fino alle 19:30.
Volevo finire. Dovevo finire.
La sera tornavo a casa e mi addormentavo come un sasso, senza nemmeno preparare la cena e senza accendere il computer per spedire curriculum.
Il Sabato, alle 16:30, avevo finito.
Spedii tutto il mio codice ai colleghi del testing e andai da Mori:
"Credo di aver concluso tutto."
"Ti faccio telefonare in caso di problemi".
Ero in libertà vigilata. Il mio codice doveva ancora essere testato, ma ero quasi sicura di aver fatto un buon lavoro.
Adesso potevo godermi il mezzo weekend che era rimasto.
"Allora io vado, Rosario."
"No, aspetta. Prima ascoltami bene.
Da lunedì ti troverai dal cliente e dovrai tenere bene a mente certe cose.
Ricordati sempre che sei molto giovane e quindi sei una risorsa facilmente sostituibile. Il cliente può interessarsi a te solo se tu riesci a farlo affezionare. Non devi apparire come una rappresentante di TalenTeam, ma semplicemente come Giulia. Se ti vedono giovane e cucciolotta possono decidere di adottarti. Punta su questo.”
“Ricevuto.”
“Lì non ci saremo noi a controllarti. Non ci sarà Enzo Vanni a tenerti col culo sulla sedia. Non potremo verificare i tuoi orari quindi dovremo fidarci del tuo buonsenso. Cerca di dare il massimo, spingi più che puoi e sii sempre presente.
E poi, considera che il cliente ti osserva sempre. Conosci Mario Arecchi?”
“No.”
“E' stato uno dei nostri primi consulenti a lavorare in Mechanix. Bravissimo, geniale: gli bastavano poche ore per finire il suo lavoro. Il resto del tempo pensava ai cazzi suoi. Spesso entrava a lavoro alle 11:00 e se ne usciva alle 16:00. Il cliente ce l’ha restituito dopo qualche mese. Non perché non lavorasse bene, ma perché non rispettava le formalità. Per i vecchi manager italiani, la formalità è più importante della qualità”.
“Ricevuto.”
Non disse altro, così filai via di corsa. C'era un mezzo weekend ad aspettarmi.

MPNY8EY985QQ

venerdì 20 novembre 2009

21. Le virtù del vero consulente IT

Avrei lasciato il progetto TeTi. Entro una settimana avrei abbandonato la sede della mia azienda e avrei iniziato a lavorare direttamente a casa del cliente Mechanix.
Bello.
La vita del consulente funziona così. Da un momento all'altro puoi essere sbattuto dentro un nuovo progetto di cui non sai assolutamente niente.
Se sei fortunato, resti a lavorare nella stessa città. Ma non è raro che ti mandino in trasferta per parecchi mesi a centinaia di chilometri da casa.
E' un buon modo per dimostrare flessibilità e dinamicità.
Il consulente non ha radici, è un cosmopolita felice.
A me in fondo era andata bene: la sede del cliente Mechanix stava a Roma, a circa 50 chilometri dalla mia azienda.
Per i miei standard meridionali, percorrere cinquanta chilometri significava andare in un altro paese. Per il vero consulente IT, 50 chilometri sono un'inezia.
Ero solo agli inizi e non avevo pratica di queste cose, così feci una domanda stupida al mio project manager:
"Presto scadrà l'affitto e dovrò trovare una nuova casa. Mi conviene cercarne una vicina alla sede di Mechanix?"
"Assolutamente no. Cercati una casa che ti piace, senza badare troppo a dove si trova. Il concetto di vicinanza nel nostro lavoro è estremamente precario: tra qualche mese potresti lavorare a Pomezia, per esempio. Rassegnati all'idea di viaggiare tutti i giorni. Un paio d'ore di viaggio al giorno non ti faranno mica male."

giovedì 19 novembre 2009

20. Nord e sud



Quella notte dormii malissimo. Continuavo a rigirarmi nel letto senza trovare la posizione giusta.
Affrontare un colloquio mi rendeva sempre tesa e insicura.
In poche parole: mi stavo scacazzando dalla paura.
Alle 6:00 finalmente suonò la sveglia e mi alzai più stanca di quando mi ero coricata.
Bevvi una tazzona di caffè, feci una doccia fredda e indossai il tailleur. Mi truccai un bel pò e alle 7:15 scesi in strada. Il taxi arrivò in quattro minuti.
Quando dissi che dovevo raggiungere la sede di Mechanix che stava sulla Tiburtina, fuori dal raccordo, gli occhi del tassista si illuminarono:
“È una tratta molto lunga e c’è molto traffico a quest’ora.”
“Le devo chiedere una ricevuta per avere il rimborso dalla mia azienda”.
“Buon per lei.”
Furono trentacinque euro. Trentacinque stramaledette euro. Feci una fatica incredibile ad aprire il portafoglio.
Seguii le istruzioni di Minuto: in reception dissi che avevo un colloquio con Christian Bonni e ricevetti un badge provvisorio.
Subito dopo telefonai a Lino Patanè, che mi raggiunse all’ingresso e mi guidò verso l’ufficio di Bonni.
Trovai un omino minuto, magrissimo e calvo che mi chiese solo che tipo di esperienza avessi in ambito di programmazione C++.
Parlammo in tutto 3 minuti.
Poi mi congedò:
“OK, per me vai bene. Dirò ai miei capi di concludere la par
te commerciale.”
Patanè era rimasto tutto il tempo a guardare e a sorridere. Alla fine, mi chiese se volevo un passaggio in taxi per tornare in centro.
Siiiiiiiiiiii, lo volevo eccome. In borsa non avevo altre 35 euro da lasciare al tassista.
E così mi ritrovai seduta accanto a lui, sul sedile posteriore di una Fiat Punto che si dirigeva verso la stazione Termini.
Patanè avrebbe preso la Freccia Rossa per rientrare a Milano, io l’aut
obus 64 per il Vaticano e avrei speso solo un euro di biglietto.
Il viaggio era lungo e ne approfittai per studiare quel misterioso personaggio che apparteneva alle alte sfere di TalenTeam.
Era siciliano, ma parlava come una checca milanese.
Disgustoso che avesse perso totalmente l’accento. Non capivo se l’avesse dimenticato di proposito, per mimetizzarsi meglio tra la società altolocata milanese, o se fosse stato un processo involontario.
La mia nonna paterna era nata a Roma e all’età di vent’anni si era trasferita a Reggio Calabria. Sono trascorsi cinquant’anni e conserva ancora l’accento romano.
Allo stesso modo, la mia nonna materna era nata ad Acireale e all’età di trent’anni si era trasferita a Reggio Calabria. Adesso ha ottantadue anni e conserva ancora l’accento siciliano.
Patanè era nato a Siracusa, aveva sposato una donna di Catania e, dopo la laurea, aveva cominciato a lavorare a Milano. Tornava a casa dei suoi genitori tutte le estati.
Mi spiegò che aveva difficoltà a crescere i figli senza l’aiuto dei nonni, ma non sembrò avere grossa nostalgia di casa. Disse solo: “Io a pranzo mangio un panino davanti al computer; un mio amico che fa l’avvocato a Catania va a mangiare pesce in un ristorantino sulla spiaggia.”
Cominciai a pensare a casa, ai ritmi più lenti della gente del Sud e alla cornice del mare.
Se solo in Sicilia o nella mia città calabrese ci fosse stato lavoro!
Pensai ad un commissario Montalbano che si gode un pranzo luculliano a base di pesce fresco e dopo, per digerire e pensare, cammina lungo il molo osservando i pescatori.
Io mi vedevo in una villetta ai piedi dell'Etna, con vista sulla baia di Acitrezza.
E invece avevo rimediato un posto da operaio salendo più a nord.
Non lavoravo dietro una catena di montaggio e non facevo il turno di notte, ma che differenza faceva? Avevo un contratto IV livello metalmeccanico, stavo almeno nove ore al giorno di fronte ad una macchina e svolgevo un’attività quasi del tutto meccanica. In genere lavoravo anche il sabato e non mi erano richiesti straordinari di domenica solo perché vietato a lettere cubitali dal contratto.

mercoledì 18 novembre 2009

19. Un nuovo progetto

Il bug fixing di TeTi era un lavoro alienante.
Ti ammazzavi di noia e avresti voluto andartene, poi la noia aumentava e ti dimenticavi di andartene. I minuti si dilatavano e tu restavi intrappolato davanti allo schermo del computer, senza speranza, e troppo inebetito per tagliare la corda.

Mi consolavo pensando che potevo cambiare lavoro e trovare qualcosa di più stimolante.

"Ecco, mi dicevo, sono sulla piazza di Roma. Sto a pochi chilometri da centinaia di aziende.
Ho centinaia di possibilità."
Ero una povera illusa. Ma in quel momento non lo sapevo.
TalenTeam mi aveva assunto a Cosenza e mi trovavo a Roma soltanto in trasferta.
Se il lavoro di dimostrava insulso, faticoso e deludente a Roma, figuriamoci a Cosenza! Quindi avevo chiesto al project manager se c'erano possibilità di un trasferimento definitivo a Roma.
"Intanto vado avanti con TalenTeam", pensavo, "E appena ne ho l'occasione mi trasferisco in un contesto più gratificante".
Trascorrevo le serate alla ricerca di aziende romane e inviavo il curriculum appena ne trovavo una che si occupava di telecomunicazioni.
Volevo rifuggire le aziende di consulenza ma, al solito, erano le uniche che dichiaravano di offrire lavoro ai giovani neolaureati.
Passai febbraio e marzo a fare ricerche e ottenni risposta soltanto da aziende di consulenza analoghe a quella per cui già lavoravo.
Ero profondamente depressa.
Fu all'inizio di aprile che arrivò la svolta.
Mi trovavo nella solita condizione di annichilimento mentale quando vidi il tutor Enzo Vanni avvicinarsi silenziosamente alla mia postazione.
"Ecco, è qui per la solita ronda del cazzo." Pensai. "Se si azzarda a farmi pressione anche sta volta, lo mando a quel paese."
“Giulia, dovresti seguirmi un attimo. Ho qualcosa da dirti.”
Mi portò al piano di sotto, in una piccola sala riunioni, e mi indicò un telefono. “Adesso chiamiamo Giuseppe Minuto. Ci sono delle belle novità per te.”
Compose il numero dell’ufficio di Milano e avviò una conferenza in viva voce con il manager che avevo conosciuto durante il colloquio.
“Buongiovno Giulia. Vengo subito al dunque pevché abbiamo pochissimo tempo. Si tratta di un affave che dobbiamo concludeve in tempi vistrettissimi.
Allova.
Stiamo per avviave un nuovo progetto con Mechanix: si tratta di bug fixing su un software che coovdina il traffico aereo sulle tovvi di controllo degli aeropovti.
Ci serve una figuva di Consultant Junior e, considerato il tuo curriculum e il modo in cui hai lavorato in questi mesi, abbiamo subito pensato a te.
Così potrai anche restave a Voma che, a quanto mi hanno detto, è un tuo desidevio.
Si tratta di un lavovo simile a quello che già fai per TeTi, ma sta volta saresti nella sede del cliente assieme a due nostri Consultant Senior.
Pev domani abbiamo fissato un colloquio: il cliente vorrebbe conoscerti prima di formalizzave la tua commessa. Che ne pensi?”

Mi aveva buttato addosso tutte quelle informazioni e facevo fatica ad orientarmi.
In sostanza mi offriva di cambiare progetto ma si trattava sempre della solita attività, quel odioso bug fixing.
Feci una rapidissima analisi delle conseguenze della mia risposta.
Quelli avevano già organizzato tutto e quindi si aspettavano che accettassi il nuovo incarico. Sicuramente non potevo rifiutare: avrebbero pensato che non fossi flessibile, aperta al cambiamento etc etc… Tutte quelle cazzate sulle qualità essenziali che deve avere il perfetto consulente.
Avevo le scatole piene di TeTi con la sua terribile catena di produzione e gli straordinari di sabato. Cambiando progetto, avrei preso una boccata di aria fresca.
E poi Mechanix mi incuriosiva.
C’era il famoso mito secondo cui i consulenti più bravi possono farsi amare dai propri clienti e quindi farsi assumere.
Accettai. E tanto valeva dimostrarmi entusiasta, fargli capire che apprezzavo moltissimo il fatto che avessero scelto me.
Feci un sorriso a trentadue denti, mi scossi tutta e miagolai:
“WoW! Questa notizia è fantastica! Davvero! L’idea di andare a lavorare direttamente dal cliente è meravigliosa. Non vedo l’ora di cominciare. È una cosa del tutto inaspettata, io…”.

Cercai altre frasi spudoratamente celebrative, ma non riuscii a tirar fuori niente.
In fondo non avevo la più pallida idea del progetto in cui sarei stata inserita.
Chiesi dei dettagli ma non ebbi nessuna informazione utile.
Minuto si occupava solo della parte pubblicitaria-commerciale, del lavoro vero e proprio non ne sapeva un cazzo.

Andammo avanti con una serie di convenevoli, poi Minuto riprese in mano la conversazione per gli ultimi dettagli: “Domani, alle 9:30, devi vecarti alla veception di Mechanix e chiedeve di Christian Bonni. Troverai sul posto Lino Patanè, che ti accompagnerà da lui.
Mi raccomando la puntualità.
Prendi un taxi per andare sul sicuro e addebitane il costo sulla nota spese di questo mese.
Un’ultima cosa: per adesso non parlare del nuovo progetto con i tuoi colleghi. Non vorremmo creave malumovi.”

Uscii da quella stanza eccitata ed impaurita.
Mechanix stava a casa di dio, fuori dal Raccordo, e mi sarei trovata a lavorare con due perfetti sconosciuti.

Tornai alla mia scrivania e, sottovoce, raccontai a Luca la telefonata di Giuseppe.
Lui ascoltò tutto in silenzio e poi sussurrò:
“Ma che ti hanno detto a proposito del contratto? Ti offrono di più?”

“Non hanno parlato di contratto. Secondo te dovrebbero cambiarlo?”
“Dovrebbero offrirti qualcosa in più di 1000 euro. E’ molto semplice: con 1000 euro al mese a Cosenza puoi vivere bene. A Roma no.”
Luca aveva perfettamente ragione.
Senza la diaria, come cazzo avrei fatto a pagarmi vitto e alloggio?
Tenni queste considerazioni per me.
In quei giorni avevo ancora un'idea idilliaca del lavoro, lo interpretavo come uno strumento di crescita e realizzazione personale, un trampolino per il quale aveva senso fare dei grossi sacrifici.
“Mi sembrava prematuro parlare del contratto per telefono." Gli dissi stizzita. "Appena sarà tutto più concreto, solleverò l’argomento.”
Per il resto della giornata feci poco o niente, tutti i pensieri andavano al colloquio dell’indomani.

martedì 17 novembre 2009

18. Nuova vita

Decisi di trasferirmi subito nell'abbaino.
Niente più notti insonni nel bilocale affollato.
Avevo un buco, un buco tutto mio, senza estranei rompicazzo.
La mia prima notte fu un sogno. Dormii come un sasso e al mattino feci colazione ascoltando la musica di MTV.
Accesi il computer ed ebbi una graditissima sorpresa: l'abbaino era coperto da varie reti wireless. Alcune erano criptate WPA e quindi inattaccabili. Ma ce n'era una WEP, e il WEP è un protocollo che si buca.
Io non ero in grado di farlo, ma PM si. Presto avrei avuto anche Internet gratis.
Ero felice. Ero proprio felice.

Il progetto TeTi andava avanti coi soliti ritmi disumani, ma il rientro a casa era un momento felice. Potevo cucinarmi qualcosa senza fare la fila, potevo telefonare a voce alta e, soprattutto, potevo stare mezza nuda senza scandalizzare nessuno.
PM aveva iniziato uno stage a Firenze e veniva a trovarmi tutti i weekend.
Come mi aspettavo, impiegò due minuti a bucare la rete wireless del vicino.
Mi regalò una connessione di ottima qualità, riuscivo perfino ad usare il Skype.
Il sabato, dopo le mie consuete ore di straordinario, iniziavamo le nostre passeggiate interminabili per il centro di Roma.
Camminavamo per ore e ore, senza mai stancarci, e sempre con la bocca aperta per la meraviglia: ogni vicolo del centro storico nascondeva un tesoro antico o aveva una storia importante che affondava nei secoli dei secoli.
Durante il sabato e la domenica Roma era splendida. E io mi sentivo innamorata, energica e ottimista.
Poi, improvvisamente, arrivava il lunedì mattina, il sogno finiva e l'ottimismo e l'energia diventavano un vago e improbabile ricordo.

lunedì 16 novembre 2009

17. Un abbaino come tana

Era un vecchio palazzo di tre piani in via di Monte del Gallo, nel pieno centro di Roma. Io stavo al quarto piano di quel palazzo, sulla terrazza, in un piccolo abbaino abusivo.
Vorrei poter dire che si trattava di un attico, ma proprio non posso.
Era un fottuto abbaino di 15 mq.
In 15 mq c'era tutto: il bagno, il cucinino, il tavolino, il divano letto matrimoniale.
Continuavo a dormire su un divano letto, certo, però avevo la privacy.
Una privacy pagata profumatamente: dovevo sborsare in nero 800 euro al mese. L'abbaino era di una vecchia signora sarda alta un metro e venti che chiamavo "la maitresse" per ovvi motivi.
La maitresse aveva almeno quattro piccoli alloggi da affittare nel centro di Roma. In alta stagione li dava ai turisti per 1000 euro a settimana. Era organizzatissima: si era fatta fare un piccolo sito internet per condurre comodamente e senza intralcio i suoi traffici.
Sul sito pubblicizzava i suoi mini appartamenti e poi gestiva le prenotazioni via mail o tramite cellulare.
Invidiavo il suo business. La maitresse si fotteva almeno 5000 euro al mese senza alzare un dito e senza pagare tasse.
Io sgobbavo 9 ore al giorno dietro un computer per 1000 euro.
Avevo trovato l'abbaino della maitresse proprio grazie alla pubblicità sul suo sito internet. Era annunciato come "il nido perfetto per una giovane coppia che vuole scoprire Roma".
Ancora non sapevo che si trattava di un abbaino. Sul sito si parlava di un monolocale.
Calcolai che stava a mezz'ora di cammino dall'ufficio e presi un appuntamento per visitarlo all'uscita dal lavoro.
Doveva essere un palazzo della piccola borghesia, costruito nei primi anni del '900. L'intonaco della facciata era tutto scrostato e cadente. Si entrava da un portoncino minuscolo e gli scalini erano ripidissimi e stretti.
"Le piacerà, signorina!" mi diceva la maitresse mentre mi faceva strada, "Si tratta di una dolcissima mansardina. Io in genere l'affitto ai turisti, di settimana in settimana, ma adesso siamo in bassa stagione e posso affittarla a lei ad un prezzo praticamente regalato."
La dolcissima mansardina era solo un abbaino trasformato alla bell'e meglio in un posto abitabile.
800 euro per quel buco umido e arrangiato erano un furto, un ladrocinio, una truffa!
Però c'erano dei vantaggi. La maitresse non mi chiedeva nessun contratto e nessuna caparra. Voleva solo 800 euro in contanti per il mese di Febbraio. E poi altre 800 euro per il mese di Marzo.
Non sapevo di preciso quanto sarebbe durata la trasferta a Roma e non potevo impegnarmi in un contratto annuale.
L'abbaino era vicino all'ufficio e nel centro di Roma.
Dopotutto, era una buona sistemazione temporanea.

16. C'è bisogno di privacy

Ricapitolando: il lavoro era una merda, la convivenza con le coinquiline era una merda, il cibo era una merda, la mia vita sessuale era una merda.
Vita sessuale, poi ...
Come fai ad avere una vita sessuale se dormi nel soggiorno di un bilocale che ospita tre persone?
Nel soggiorno si cenava, si navigava su internet, si ricevevano i colleghi.
Spesso, nel cuore della notte, Giusy si alzava e veniva a passeggiare nel soggiorno:
"Scusa", mi diceva,"Non riesco a dormire: ho mal di pancia."
Giusy si sentiva male praticamente a notti alterne e per non disturbare Rossella veniva nel soggiorno, convinta che IO alle TRE DI NOTTE potessi essere sveglia.
"Ah, mi dispiace che hai mal di pancia. Per favore, puoi chiudere la luce che stavo dormendo?"
Dopo un paio di minuti Giusy tornava quatta quatta nel suo letto.
Non poteva continuare così.
Il periodo di trasferta sarebbe durato almeno tre mesi.
Almeno tre mesi, diceva Licia Rossini delle risorse umane.
In realtà i tre mesi erano una previsione iperottimistica.
TalenTeam non aveva ancora disposto una nostra sede a Cosenza.
Esisteva soltanto una piccola sede simbolica, vicino all'Università della Calabria, ma quella era già affollata oltre misura.
Si vociferava di una nuova sede, ma per ora erano solo chiacchiere.
E poi, eravamo tutti dei novellini che dovevano essere controllati.
Avevamo bisogno delle ronde del tutor Enzo Vanni, della supervisione del project manager Mori, dei feedback del gruppo di test.
Insomma, i mesi da passare nel bilocale sarebbero stati almeno sei.
Sei mesi senza privacy. Giammai.
Avevo i soldi della diaria, con quelli potevo pagarmi un alloggio.
Ne parlai col mio compagno di banco Luca. Anche lui dormiva sul divano letto.
“Ma come fai a stare tre mesi senza privacy?”
“Posso farne a meno.”
“Davvero? Scusa se mi permetto, ma puoi stare tre mesi senza masturbarti?”
Silenzio.
"Allora?!? Rispondimi. Puoi stare tre mesi senza masturbarti?"
Luca ci pensò sù ancora un pò, poi disse:
"Pensa che hai un letto gratis. Tutti i soldi che prendi te li metti da parte. E' un piccolo ma utilissimo sacrificio."
"Preferisco spendere i soldi che prendo per vivere bene."
Lui era saggio. Io probabilmente no.

PM venne a trovarmi durante un weekend. Per avere un pò di privacy andammo in albergo.
In quei due giorni di relax capii che dovevo smetterla di affogare nella merda.
Dovevo cercare un alloggio tutto per me. Un monolocale, uno scantinato, una soffitta, una veranda... qualsiasi cosa che mi garantisse un pò di privacy.
Trovai UN ABBAINO.

giovedì 12 novembre 2009

15. Il Tutor riciclato

Il contratto di apprendistato professionalizzante prevedeva la presenza di un TUTOR aziendale come responsabile della formazione.
Il tutor doveva essere il maestro, il consigliere, la guida per lo sviluppo delle competenze dell'apprendista.
Il mio tutor era una specie di aguzzino a cui era stato detto: "Vedi di farli lavorare, altrimenti ti buttiamo fuori dall'azienda."
Lo incontrai durante la terza settimana di lavoro quando, finito il corso di introduzione al software TeTi, io e i colleghi cosentini eravamo considerati pronti per entrare nel vivo dell'attività.
Si chiamava Enzo Vanni e veniva da Pisa. Aveva lavorato una decina d'anni per TalenTeam come consulente su un paio di progetti di telecomunicazioni. Durante l'ultimo semestre, a causa della crisi, era stato licenziato. In occasione dell'acquisizione dei fondi dell'Unione Europea, era stato reintegrato col ruolo di tutor aziendale. Aveva solo un contratto a progetto e di fatto era un precario.
Un precario con due bambine piccole e una bella moglie precaria.
Si trovava in una situazione difficile: il
suo culo sulla sedia sarebbe durato finché fosse riuscito a costringere il mio culo (e quello degli altri apprendisti) ben saldo sulla sedia.
Ecco perché faceva l'aguzzino. E, in coscienza, non potevo nemmeno dargli torto.
In genere l'aguzzino arrivava ogni lunedì mattina con il treno da Pisa. Restava a Roma fino a venerdì e alle 14:00 prendeva un taxi per arrivare alla stazione e prendere il treno di ritorno. Alcune volte si tratteneva anche il sabato per controllare che portassimo a termine le ore di straordinario.
Il nostro lavoro consisteva nel correggere i bachi del software TeTi.
In inglese si dice BUG FIXING, e sembra una parola fighissima.
In realtà il bug fixing è la Siberia dell'Informatica.
Il gruppo di test di Mechanix provava giornalmente il software: quando qualcosa non funzionava o non rispettava i requisiti, stilava una descrizione del problema nota come Software Problem Description - SPD.
Ogni lunedì mattina il cliente Mechanix inviava per email un lunghissimo elenco di SPD da risolvere.
Gli SPD non erano scritti in italiano. E nemmeno in inglese.
Erano scritti in una lingua simile al dialetto ostrogoto, e senza punteggiatura.

Decifrarli era una vera sfida. Quando ci riuscivi potevi riprodurre il baco localmente, sul tuo pc e, successivamente, potevi provare ad analizzare il codice C++ e capire cosa modificare.
Ogni lunedì mattina il nostro project manager si sedeva accanto al tutor per decidere a chi assegnare gli SDP.
Io restavo in trepidazione.
Qualche volta gli SPD erano semplici da risolvere, altre volte erano così intricati che portavano via giorni interi. Non lo si poteva mai sapere a priori. Era solo questione di culo. E in genere io ero sfigata.
Subito dopo le assegnazioni bisognava partire a razzo!
TalenTeam si era impegnata a correggere 100 bachi a settimana e non poteva sgarrare. Il gruppo aveva complessivamente 20 programmatori, quindi ci toccavano 5 SPD a testa.
Dopo l'assegnazione, Enzo Vanni iniziava la sua ronda: passava ad intervalli regolari in ciascuna postazione e si informava sulla percentuale di lavoro svolto.
Ogni sera, all'ora di chiusura, pretendeva che gli si spedisse una mail per indicare il lavoro svolto durante la giornata e le previsioni per i giorni successivi.
Il lunedì era più o meno sereno. Faceva la ronda col sorriso sulle labbra.
Il martedì cominciava a sudare.
Il mercoledì sudava copiosamente e cominciava ad alzare la voce: "Non appassite davanti a quel computer, forza!"
Il giovedì, quando si accorgeva che il traguardo dei 100 SPD era lontano anni luce, si abbandonava alla disperazione e alle urla.
Una volta si mise quasi in ginocchio di fronte la mia postazione:
"Ti prego", mi disse, "Almeno tu, dammi buone notizie! Quanti SPD riesci a finire per venerdì?"
"Sto cercando di dare il massimo. L'hai visto tu stesso: oggi ho saltato perfino la pausa pranzo... e mi tratterrò in ufficio almeno un'ora in più. Nonostante tutto, credo che arriverò a 3 su 5."
"3 su 5?!? Ma non lo capisci che mi sto giocando il culo per voi?!?! Ti prego!!!".
Era proprio un uomo disperato.

martedì 10 novembre 2009

14. Un amico nel deserto

Il corso introduttivo al software TeTi si dimostrò più noioso di un callo.
E il soggetto che fungeva da docente sembrava un tipo davvero strano.
Il project manager Mori ce l'aveva pubblicizzato come un pezzo grosso dell'informatica. Uno che aveva scritto persino un libro di programmazione C++.
"Siete dei ragazzi fortunati. Il corso ve lo fa uno TOSTO."
In realtà quello sembrava tutto fuorché un tipo tosto. E soprattutto non sembrava un guru dell'informatica.
Ne ho conosciuti di informatici maschi... In genere puzzano e sono imbozzati.
Sono arguti, hanno una grande passione per il cibo e amano il buon vino.
Questo soggetto era magrissimo e così diafano che sembrava appena uscito dall'ospedale.
A pranzo mangiava sempre una banana e un'arancia.
Non beveva caffè, nè usciva durante le pause.
La mattina andava al distributore automatico, si prendeva 4 bottigliette d'acqua e se le beveva durante la giornata.
Forse stava seguendo una terapia, forse era semplicemente asettico.
Ma la cosa che mi colpiva di più era la sua voce dannatamente stridula. Passavo 8 ore al giorno a sentire quella voce spiegare come lavorava il software TeTi.
Sbadigliavo in continuazione.
Con le coinquiline non avevo nessun tipo di dialogo.
Per evitare di sprofondare completamente nel torpore e nel NULLA, decisi di esplorare la parte maschile del gruppo.
Scoprii che c'erano sei ragazzi timorati di Dio e dell'Azienda ma c'erano anche tre ragazzi vivi.
Alessio, Luca e Giovanni erano vivi e divertenti. Avevano degli interessi che andavano oltre le genoflessioni quotidiane ai padri protettori (Dio e l'Azienda).
Ben presto Luca divenne il mio compagno di banco.
Era una specie di orso intelligente e gentile.
Era più acuto degli altri ed era anche un pò nerd, quindi sapeva dispensare consigli e soluzioni se c'erano problemi coi computer.
E quando mi vedeva annoiata sapeva farmi ridere.
In genere faceva l'imitazione del romano burino: si prendeva una chewingum, cominciava a masticare rumorosamente e mi redarguiva con un: "Aho! Che fai? Staj svojata?!? No'o sai che devi PRODURE?"

lunedì 9 novembre 2009

13. Qualcosa in comune: la stitichezza

Dopo due giorni di convivenza mi accorsi che io e le mie coinquiline non avevamo praticamente niente in comune.
Quelle erano cattoliche sfegatate. Io no.
Non facevano la raccolta differenziata. Io si.
Non erano mai andate oltre Roma. Io si.
Non leggevano libri dai tempi della scuola. Io cercavo di leggere tutti i giorni.
Quelle amavano le fiction italiane tipo Un Medico in Famiglia e I Cesaroni. Io guardavo raramente la TV e cambiavo canale quando, per sbaglio, trovavo quelle cose.
Dopo due giorni di convivenza, cominciai a pianificare la mia FUGA dal bilocale.
Dovevo trovare una stanza tutta mia.
Nel frattempo scivolavano i giorni della prima settimana di lavoro.
La tiritera era sempre la stessa: sveglia alle 6:30, doccia e trucco, caffè, trenino alle 8:30, lezioni di lavoro dalle 9:00 fino alle 18:30. Cena a casa. Serata e notte sul divano letto.

Nonostante cercassi di abbozzare dei tentativi di integrazione, io e le coinquiline continuavamo a guardarci con diffidenza.
Avevo anche trovato delle cose in comune tra me e loro: LA NOSTALGIA DI CASA e LA STITICHEZZA.
Non ero mai stata stitica in vita mia. In tempi critici avevo avuto al più due giorni di magra, ma il terzo giorno mi ero sempre rifatta. La capacità di andare regolarmente era una delle cose di cui andavo sinceramente fiera. Cantavo sempre l’Inno del Corpo Sciolto di Benigni con soddisfazione.
Ma improvvisamente la mia vita era cambiata.
Non mi liberavo da quattro giorni. Un record. Il mio corpo non era mai stato abituato a tanto. Potevo avere dei seri problemi. Potevo finire all’ospedale per questo.
Ero disperata.

Cercai un po’ di conforto negli amici più stitici che conoscevo: Uilli e Daniela.
Uilli era il primo amico che avessi avuto.
Ci conoscevamo dai tempi dell’asilo comunale, quando io avevo tre anni e piangevo e vomitavo tutto il giorno. Le maestre dell’asilo comunale mi terrorizzavano: erano due megere che potevano far tutto fuorché badare ai bambini. Innanzitutto erano bruttissime, e poi non avevano pazienza. C’era la signora Sisa, un donnone con la faccia da bulldog e col vocione duro e aspro. Era sempre vestita di nero, come la strega di Biancaneve. La signora Silvana invece era un cetriolo lungo lungo e stretto, con la voce acuta e antipatica. Assomigliava ad una delle sorelle di Cenerentola.
Non capivo perché facessero stare i bambini con i personaggi più cattivi e brutti delle favole.
In questo contesto triste e cupo, incontrai Uilli. Il suo vero nome era Antonio, ma tutti lo chiamavano Uilli.
Le poche volte che non piangevo e vomitavo era perché giocavo coi Uilli.
Poi la mamma mi portò in un asilo privato, dove incontrai Biancaneve e Cenerentola e finalmente smisi di disperarmi. C’era una maestrina che assomigliava alla Bella Addormentata nel Bosco che preparava i bimbi per la Primina. Uilli mi raggiunse dopo qualche mese e imparammo a leggere e a scrivere insieme. Poi ci perdemmo, e ci rincontrammo al primo anno di università. Mi riconobbe lui per primo: io ero rimasta più o meno uguale a prima, stesse guance e stessi capelli ricci. Uilli invece era cambiato: era alto quasi due metri, aveva i capelli lunghi fino al culo e, soprattutto, era nerd.
Un vero nerd.
Continuò a piacermi come all’asilo e anzi di più perché, col passare degli anni, era andato oltre. Era diventato quasi geniale.
Aveva un suo fuso orario, beveva come Bukowski, suonava vari strumenti e aveva uno spirito critico fuori dal comune.
Frequentammo le lezioni assieme per un paio d’anni, poi lui si trasferì alla facoltà di Informatica dell’Università di Pisa e io continuai i miei corsi a Reggio. Ma questa volta restammo in contatto.
Uilli era uno stitico cronico perché, da tipico nerd bukowskiano, aveva le sue buone abitudini.
Non andava in bagno per giorni e giorni. E la cosa non gli importava.
Mi disse che la momentanea stitichezza era la naturale conseguenza del cambiamento di casa/città. Mi sarei abituata presto e sarei ritornata a cacare regolarmente.
Daniela, detta La Gnura, era la mia amicona per eccellenza. Io adoravo abbracciarla e tastarla perché era tanto tanto grande, circa 130 Kg di morbidezza. Ti rannicchiavi accanto a lei, nel morbido, e ti sentivi a casa. La Gnura soffriva di stitichezza da sempre. Per lei, cinque giorni di magra erano del tutto normali e non ci faceva nemmeno caso. Quindi mi disse di aspettare semplicemente, di bere molto e mangiare quanta più verdura potessi.
La sera del quarto giorno di stitichezza, io e Giuseppa decidemmo di rompere il ghiaccio. Ci raccontammo le nostre paure sulla stitichezza senza nascondere nulla. Rossella era timida e si limitava ad ascoltare, ma si vedeva lontano un miglio che era più stitica di noi.
Quella fu l'unica occasione in cui io e le coinquiline scambiammo due chiacchiere con fervore e coinvolgimento.
La sera del quinto giorno, finalmente, riuscii ad uscire dall'impasse. Giuseppa e Rossella ci riuscirono la sera del sesto giorno.
Superato vittoriosamente il trauma, non ne parlammo più.

12. Prove di convivenza

Dopo il lavoro, andai con le ragazze al supermercato. Nel bilocale non c'era assolutamente nulla da mangiare. Ci serviva roba per la cena e per la colazione dell'indomani.
La cena sarebbe stata una situazione perfetta per socializzare con le mie sconosciute coinquiline.
L'idea iniziale era di fare un'unica spesa e di dividere la sommatoria alla fine.
Mi accorsi ben presto che la cosa era impossibile.
Rossella disse che non faceva mai colazione la mattina, quindi non le sarebbero serviti né biscotti né latte.
Io volevo latte, caffè, biscotti e zucchero.
Rossella odiava aglio, cipolle e la maggior parte delle verdure.
Io consideravo cipolle e insalata una componente fondamentale della mia dieta.
Come diavolo faceva quella ragazza ad andare in bagno senza fare colazione e senza mangiare verdure ... MISTERO.
Giuseppa disse di essere allergica alla maggior parte dei conservanti, quindi non poteva mangiare cibo in scatola, merendine, e così via.
La cosa stava diventando troppo complicata. Decisi di prendere un carrello e fare la spesa separatamente, soluzione che lasciò le ragazze abbastanza contrariate.
Mi stavo isolando dal gruppo.

Preparai un'insalata mista e misi nel piatto mezza mozzarella e qualche fetta di bresaola.
Rossella disse di non avere fame e Giuseppa tirò fuori delle conserve che si era portata da casa.
A proposito, Giuseppa doveva essere chiamata Giusy. Odiava il suo vero nome, e non potevo darle torto. Quel nome da solo sembrava un'ingiuria.
Giusy - quindi - proveniva da un piccolo paesino dell'interno della provincia di Cosenza. La sua famiglia aveva alcune proprietà in campagna e lei era abituata a mangiare roba genuina. Si era portata da casa la salsiccia e il salame dei suoi maiali personali, le marmellate della nonna, la passata verace dei pomodori del suo orto, le melanzane e i funghi sott'olio.
La prossima settimana i suoi genitori le avrebbero spedito altri generi di prima necessità. Probabilmente anche le uova fresche.
Era organizzatissima.
Finalmente iniziavo a conoscere le ragazze.
Presto sarebbe nata una nuova e sana amicizia, ecco!
Era questo che ci voleva.
Di sicuro quelli dell'azienda ci avevano ficcato tutte assieme in un bilocale - oltre che per risparmiare soldi - anche per farci conoscere e farci diventare un team coalizzato.
Ovviamente ficcare tre perfette sconosciute in 40 m2 e, soprattutto, lasciare me su un divano letto nel soggiorno, era una mossa rischiosa.
Rossella raccontò molto poco di sé.
Ricordo che cerco di organizzare un'uscita di gruppo:
“Che ne dici se domenica andiamo tutte insieme a messa?”, esordì.
La cosa mi trovò del tutto impreparata.
“Ah, ti ringrazio ma vedi … io ….” bofonchiai.
Pausa.
Rossella arrossì e disse a bassa voce: “Non sei cattolica?”
“Si, si lo sono. È solo che per ora non ci credo.”
Avrei voluto dire altro, ma non mi venne in mente nulla. Così sorrisi, mi alzai e portai i piatti vuoi in cucina.

domenica 8 novembre 2009

11. Primo giorno di lavoro

La mattina del mio primo giorno di lavoro guardai lo specchio e vidi uno zombie.
Mi ero alzata prima delle altre per approfittare comodamente del bagno. Quello che vidi non mi piacque affatto: occhiaie, borse sotto gli occhi e pelle gonfia. Ero uno schifo.
E, come se non bastasse, tutt’intorno a me si era diffusa la puzza della paura. È un odore inconfondibile e ineluttabile. Non puoi impedire alla puzza della paura di uscire. Ma, quella volta, oltre il danno fu la beffa: provai a concentrarmi sulla tazza ma non ebbi alcun successo. Dopo qualche minuto ci rinunciai.
Aprii la finestra per fare arieggiare l’ambiente, poi mi diedi da fare con cremine, fondotinta, ombretti e matite. Non ero al top, ma l’aspetto da orrido era diventato passabile.
Le coinquiline si alzarono mezz’ora dopo, quando avevo già finito il giro.
Nemmeno loro avevano dormito bene, avevano la faccia stanca e stravolta. Si diedero da fare col makeup e, quando furono pronte, scendemmo in reception ad aspettare gli altri.
La stazione era a due passi dal residence: il trenino metropolitano ci avrebbe portato sull'Aurelia e da lì avremmo proseguito a piedi fino alla sede.
Durante la passeggiata ricavai qualche informazione sui colleghi. Erano tutti di Cosenza, a parte un ragazzo, Pietro, che veniva da Lamezia Terme. Avevano studiato tutti quanti all’Università della Calabria e si conoscevano più o meno bene. Solo io provenivo dalla Mediterranea di Reggio.
Ero la mosca bianca.
La Rossini ci accolse all’ingresso e ci portò in una sala riunioni.
Restammo più di un’ora a firmare decine di carte, poi entrarono tre soggetti che non avevo mai visto prima: due uomini alti e distinti, in giacca e cravatta, e una signora piuttosto avanti con gli anni, bassa e grassoccia, tutta vestita di nero. Aveva la faccia nascosta dalle rughe, ma non era colpa sua.
La Rossini li presentò.
La nonna grassoccia era Gigliola Politi, il capo della nostra divisione. Più in alto di lei nella scala gerarchica c’era solo l’amministratore delegato di TalentTeam. Era proprio il pezzo grosso del gruppo.
C’era il suo braccio destro, Lino Patanè, che gestiva la parte commerciale di tutti i principali progetti attivi, e infine c’era Rosario Mori, il nostro project manager.
Politi e Patanè venivano direttamente da Milano, dove stavano tutti gli uffici direttivi dell’azienda. Rosario Mori invece era romano.
Ci lasciarono alcuni minuti a testa per le presentazioni.
Scoprii di essere l’unico Ingegnere delle Telecomunicazioni, i cosentini erano tutti ingegneri informatici.
Appena sentì la parola Telecomunicazioni, la Politi sospirò e disse:
“Purtroppo questo è un bruttissimo momento per le Telecomunicazioni in Italia. È il settore su cui si taglia di più. Noi avevamo parecchi progetti con Siemens e Motorola ma siamo stati costretti a chiuderli quasi tutti nel corso degli ultimi due anni. Adesso stiamo cercando nuovi clienti.
Clienti che operano in settori che non sono colpiti dalla crisi.
Mechanix è uno di questi: lavora direttamente per il Ministero della Difesa del nostro paese. Le applicazioni militari non possono essere tagliate, quindi Mechanix è un mercato sicuro che vogliamo conquistare.”
“Però è un cliente molto difficile da accontentare”, incalzò Rosario Mori.
“Già, molto, molto difficile. Specie per noi di TalenTeam, che non abbiamo nessuna raccomandazione e dobbiamo fronteggiare una enorme concorrenza.” Riprese la Politi. “Dopo lunghe trattative siamo riusciti ad entrare nel progetto TeTi, il nostro primo progetto con Mechanix. TeTi, su cui adesso inizierete a lavorare anche voi, ha una grandissima importanza strategica.
Teti è una dura porta di ingresso: ci costringe a rispettare scadenze ristrette e i guadagni contingenti che ne ricaviamo sono piuttosto bassi. Anzi, per essere precisi, siamo in perdita.
Ma se riusciamo a tenere duro, nel giro di un anno Mechanix diventerà un cliente fisso e potremo avviare progetti molto più vantaggiosi.”
La giornata fu una lunga processione di incontri, presentazioni e chiacchiere.
Il team TeTi di TalenTeam comprendeva già una decina di programmatori e tre persone che si occupavano del test. Quattro programmatori erano ungheresi.
Mori ci spiegò come aveva pianificato la nostra attività per le prossime settimane.
Dal lunedì al venerdì avremmo seguito un corso introduttivo su TeTi, le giornate di sabato, invece, sarebbero state dedicate ad un corso di approfondimento di C++. Alla fine del corso avremmo iniziato a lavorare.
SABATO COMPRESO.
“Cercate di dare il massimo in queste settimane. Prima finite questa parte introduttiva, prima iniziate a lavorare. Come avete visto, il progetto TeTi ha un importanza strategica fondamentale per tutta TalenTeam. Da Teti dipende la nascita di nuovi contratti di collaborazione con Mechanix.
Nuovi contratti di collaborazione significano nuove opportunità di lavoro per voi.”
La storia del sabato mi lasciò abbastanza perplessa.
Ma non ero la sola.
Uno dei ragazzi si azzardò a chiedere quanto sarebbero durati gli straordinari di sabato.
“A meno di particolari urgenze, vi chiediamo di essere presenti tutti i sabati di Gennaio per le otto ore giornaliere. Poi, a Febbraio, faremo una nuova pianificazione.”
Fu il gelo.
Alle 17:00 ero sfatta. Mi trascinavo per gli uffici di TalenTeam stordita e con lo sguardo vuoto. Rossella e Giuseppa avevano gli occhi rossi e l'aria traumatizzata.
Per fortuna, alle 18:00 ci congedarono e tornammo a casa.

10. La prima notte al residence

Trascinai l'Inquilino fino al parcheggio dei taxi, ne presi uno e arrivai al residence poco dopo le 21:00. C’erano un ampia e lussuosa reception e un tipo incravattato che guardava la TV.
“Ah! Te stavo aspettando! Te sei GIU-LIA, giusto?”
“Si. E tu sei il tipo con cui ho parlato al telefono l’altro giorno, giusto?”
“Si, si. So’ Fabrizio. Dai, sbrigate! Li atri so’ arivati du ore fa! Ormai se saranno presi ‘e parti più bone de’a casa.”
Era simpatico. Mi disse di lasciargli documenti e di cominciare a sistemarmi nel bilocale numero 125, al terzo piano. Dopo sarei scesa a firmare i moduli e a prendere la chiave per l’accesso wireless ad Internet.
La porta 125 era aperta. Sembrava che dentro ci fosse una riunione, c’erano almeno sette persone che chiacchieravano. Mi avvicinai piano piano e mi sporsi dentro. Eccoli li, finalmente.
Due ragazze. Giuseppa e Rossella. Nove ragazzi. Tutti giovanissimi, come me.
Entrai e ruppi il chiacchiericcio:
“Ciao! io sono Giulia.”
Strinsi la mano a tutti. Non riuscii a memorizzare nemmeno un nome maschile. Erano troppe facce nuove e tutte insieme. Mi concentrai sulle ragazze. Rossella aveva il viso dolce e le guance rosa. Giuseppa era minuta e magrissima: il suo cognome Piccolo calzava a pennello. Nonostante le dimensioni ristrette, aveva qualcosa di aggressivo. Aveva la carnagione chiara, i capelli erano tinti di biondo ma le sopracciglia erano rimaste nere e foltissime. Se non avesse usato la ceretta avrebbe avuto un monociglione gigante.
Non ebbi tempo per fare altre considerazioni, i ragazzi si stavano organizzando per la cena.
“Vieni con noi? Dovrebbe esserci una pizzeria proprio accanto al residence.”
“No, grazie. Sono arrivata troppo tardi e sono stanchissima. Comincio a sistemare le mie cose e vado a letto.”
Appena uscirono, cominciai a guardarmi intorno.
Il bilocale aveva un ingresso che dava direttamente sul soggiorno. Poi c’era una piccola cucina, il bagno e un breve corridoio che portava nella camera da letto.
Per prima cosa entrai nella camera da letto.
C’erano solo due lettini coi comodini, un armadio e un cassettone con sopra la televisione.
Le coinquiline si erano già accomodate, anzi sembrava che abitassero lì da mesi. Avevano già disfatto le valige e messo tutti i loro vestiti nell’armadio, avevano lasciato il pigiamino sul letto e sui comodini avevano creato una specie di altarino con immaginette di Padre Pio e suoi affini. Nel cassettone avevano messo la biancheria intima: mutande, reggiseni, canotte, uh … una delle due adorava il pizzo nero.
Problema: dove diavolo avrei ficcato le MIE cose?
Avevano riempito TUTTO.
Il mio guardaroba era molto molto più scarno del loro, non avevo nessun tipo di biancheria di pizzo e non avevo nessuna intenzione di creare altarini. Mi serviva un armadietto, o magari qualche cassetto.
Lasciai la camera da letto e mi spostai nel corridoio: c’era un piccolo armadio a muro. Tirai un sospiro di sollievo: era perfetto, quello sarebbe stato tutto mio.
Lo aprii. NO. Non potevo crederci: si erano appropriate anche di quello. Ci avevano messo le valige vuote e le scarpe.
“Roar. Dobbiamo proprio cominciare a discutere di alcune cosette io e voi.”
Tornai nel soggiorno: un divano letto di fronte alla porta di ingresso, un tavolo da pranzo con tre sedie. Sul tavolo da pranzo le ragazze avevano appoggiato i loro computer portatili.
Addio privacy.
Accanto al divano c’era un tavolino basso, di vetro. Ci appoggiai sopra la valigia. Quel piccolo salotto sarebbe diventato il mio accampamento. Tolsi i cuscini dal divano e tirai fuori il letto. Il materasso era bello duro, almeno non avrei dormito scomoda. Mi sdraiai.
Track! Track!
Quella stramaledetta brandina cigolava ad ogni movimento.
Ero troppo stanca per arrabbiarmi. E soprattutto mi sentivo triste e abbandonata.
Indossai il pigiama e mi attaccai al telefono. Casa, PM, amiche. Avevo bisogno di loro.
Poi mi ricordai di Fabrizio e scesi in reception.
Il tipo mi restituì i documenti e mi chiese come stavo.
“Sono triste.”
“Nuuu. E perché se’ triste? Dovresti esse’ contenta. No’o sai che Roma è una città bellissima?!? E anche teribile. Fuori c’è vita. Se esci, poi non vuoi più torna’ a casa. Fidate.”
“Mi fido.”
“E poi … io adesso sto a riprende er motorino. Se vuoi, a la prima serata libera te porto in giro e te faccio conosce er mondo de’ qua.”
Il tipo ci sapeva fare con l'accoglienza.
Lo ringraziai e tornai al bilocale.
Quando le ragazze tornarono scambiai due chiacchiere di cortesia e le salutai per la buona notte. Non vedevo l’ora che si levassero dai piedi, volevo restare da sola col mio divano letto.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio: ero spaventata dall’idea del primo giorno di lavoro e mi mancava terribilmente casa.

sabato 7 novembre 2009

9. Il treno

Il giorno prima della partenza ricevetti una mail dalla Rossini con il biglietto del treno in allegato. Wow! Che servizio! Mi avevano riservato un posto in prima classe.
Non avevo mai viaggiato in prima classe.
Il treno partiva subito dopo pranzo e arrivava a Roma all’ora di cena.
PM mi accompagnò alla stazione, mi aiutò a trasportare l'Inquilino e restò a farmi compagnia. Furono momenti tristi.
Cercai di tirarmi sù di morale: in fondo non sarei stata sola durante il viaggio, avevo l'Inquilino.
Il mio vagone di prima classe restò vuoto per un bel po’, poi a Lamezia Terme salì un uomo anziano in giacca e cravatta, senza bagaglio. Avevo l’impressione di conoscerlo, ma non riuscivo a ricordare chi fosse. Apparteneva al passato, agli anni del liceo. Ma non era uno dei miei professori.
Continuavo a guardarmi intorno per individuare i miei futuri colleghi, ma non c’era anima viva a parte l’uomo anziano.
A Paola salirono due ragazze e due ragazzi. Dovevano essere loro: stavano in prima classe come me ed erano saliti alla stazione di Cosenza. Nessun ragazzo si comprerebbe un biglietto di prima classe. Di sicuro anche loro l’avevano ricevuto dall’azienda.
Cominciai a guardarli. Speravo che anche loro mi notassero. Niente. Allora presi in mano la situazione. Mi alzai, con la scusa della toilette, e mi avvicinai al loro posto:
“Scusatemi ragazzi. Anche voi siete di TalenTeam?”
“Chi?”
“Cosa?”
“Che hai detto?”
Non avevano mai sentito parlare di TalenTeam.
Non salì nessun altro e rinunciai all’idea di un meeting in anteprima.
L’uomo anziano leggeva un giornale. Io mi sentivo troppo nervosa per leggere, quindi masticavo chewingum a ascoltavo musica.
Poco prima di arrivare a Roma decisi di togliermi la curiosità sull’identità dell’uomo anziano.
“Mi scusi, lei per caso parecchi anni fa ha fatto un intervento al Liceo Scientifico di Reggio Calabria? Credo di ricordarmi di lei, ma non riesco a ricordare in che occasione l’ho incontrata.”
“Si, anni fa organizzavo dei concorsi per le scuole …”
Beccato. Ricordai tutto. Al quinto anno avevo vinto un concorso organizzato da un onorevole di non so quale partito che lavorava alla Commissione Europea. Il premio era stato un viaggio di tre giorni a Bruxelles e una visita agli uffici della Commissione.
“Ora ricordo! Lei è l’onorevole che aveva organizzato quel concorso sulle problematiche dell’Unione Europea. Una bellissima esperienza. Grazie ancora.”
Mi spiegò che adesso faceva il professore all’Università di Castel Sant’Angelo e mi diede un biglietto da visita.
L'uomo anziano in fondo non era poi così anziano. Era di costituzione robusta e poteva darmi una mano con l'Inquilino. Non ebbi occasione di chiederglielo perchè, quando arrivammo alla stazione, si offrì spontaneamente di aiutarmi. Ovviamente aveva sottovalutato il peso dell'Inquilino.
Lo sentii soffocare i gemiti dello sforzo.
Dopo qualche passo si congedò in fretta e scomparve tra la folla.

8. La valigia

Driiin!
“BuonaseraResidenceDalia.”
“Buonasera. Mi chiamo Giulia A.. Dovrebbe risultarle una prenotazione a mio nome a partire dalla notte del 6 Gennaio. È un bilocale.”
“Controlliamo subito.”
“…”
“Si, risulta una prenotazione dal 6 Gennaio al 31 Marzo.”
“Sarò in trasferta per l’azienda TalenTeam. Potrebbe darmi delle informazioni sulla sistemazione?”
“Certo. Mi risulta che sarai alloggiata con altre due ragazze: Giuseppa Piccolo e Rossella Verardo. L’appartamento ha una camera da letto con due letti singoli, una cucina e un soggiorno con un divano letto. Quindi una di voi si beccherà il divano. Magari fate a turno.”
NO. IL DIVANO: NO. Io non potevo andare a finire su un divano.
Silenzio.
“Pronto? Giulia è ancora in linea?”
“Si, si, ci sono. Ecco, la storia del divano mi ha un po' sorpreso.”
“Ma dai! Gli appartamenti sono iperaccessoriati, ti troverai bene. Scusa, mi sembri una ragazza giovane, posso darti del tu?”
“Certo. Il mio nome già lo sai.”
“Io sò Fabrizio.”
“Piacere Fabrizio. Ti incontrerò al mio arrivo, giorno 6?”
“Famme controllà… Seee. C’ho ‘l turno de notte. Li mortacci!”
Dopo il passaggio al tu, la voce di Fabrizio era decisamente cambiata.
“Puoi darmi altri dettagli sull’appartamento? C’è la lavatrice?”
“No. La biancheria poi lavarla co‘a lavatrice a gettoni che sta qui, in una sala a pianotera. E anche il fero da stiro. Funziona tutto coi gettoni. Però in cucina c’è ‘a lavastovje.”
“Com’è la zona? Insomma … è un quartiere tranquillo?”
“See. Ce so’ due supermercati qui vicino. E c’è la stazione der treno proprio di fronte al nostro ingresso. Quindi te poi spostà co’ comodo.”
“Credo che la prima volta prenderò un taxi.”
“Sta’ attenta a li taxisti abusivi. Se mettono fori Termini, te beccano e te spellano viva.”
Fabrizio mi diede qualche altra informazione utile, poi lo salutai.
In occasione della partenza mi ero fatta comprare dalla mamma un bel valigione arancione e un beautycase.
Decisi di portare solo i capi di vestiario indispensabili: 10 paia di mutande, tre reggiseni, calzini e collant assortiti, magliette intime, tre paia di jeans, una gonna lunga, cinque maglioni, un tailleur e un paio di decollette per occasioni importanti.
Come accessori avevo il PC portatile, un ombrello, il phon, il depilatore elettrico e una scorta di assorbenti.
Non potevano mancare i libri. La scelta fu davvero ardua. Volevo portare con me un paio di libri che avevo già letto, che mi avrebbero tirato su di morale in qualche notte triste, e almeno un libro nuovo.
Scelsi Il Birraio di Preston di Camilleri perché mi aveva fatto ridere a crepapelle e il terzo libro della saga di Harry Potter perché mi aveva fatto sognare. Di nuovo avevo un thriller, il primo della trilogia di Stieg Larsson.
Nonostante mi sentissi del tutto NUDA, il valigione era pronto a scoppiare e pesava quasi quanto me. Aveva le rotelle, ma smuoverlo da fermo era un'operazione titanica. Lo ribattezzai l'Inquilino.
 
BlogItalia.it - La directory italiana dei blog Segnala un Blog Blog Directory voli low cost amsterdam