martedì 29 dicembre 2009

27. Arrivano le vacanze di Pasqua anche per il consulente.

Il venerdì di Pasqua presi l’ultimo aereo della sera e tornai a casa.
Ero la persona più felice del mondo: tre giorni di vacanza, il focolare domestico e le uova di cioccolata.
Ah! Benedette feste cristiane! Se non ci fossero state, come avrei fatto?
Il giorno di Pasqua mangiai di gusto.
Era da almeno due mesi che non facevo un VERO pranzo.
Toast, panini o piadine erano all'ordine del giorno.
Quando lavori minimo 8 ore al giorno e ne impieghi 2 di viaggio andata/ritorno la cucina mediterranea te la puoi sognare.
E invece... il giorno di Pasqua avevo davanti un vero piatto di pasta, con un vero sugo di vero pesce.
Non erano mica i bastoncini di merluzzo surgelato che compravo per cena.
Era un vero pane quello che avevo davanti, non la baguette scongelata e rivenduta al supermercato.
Ah! Il cibo Mediterraneo.
Ah! La pasticceria del Sud.


Ah! Il cannolo.
Il Dio Cannolo con Ricotta e Pistacchi. Lo venerai.
Dedicai il giorno di Pasqua alla famiglia, agli amici e alla panza.
Poi trascorsi il lunedì di Pasquetta a casa, in profondo relax, senza alcuna voglia di mettere il naso fuori.
Ero già abbastanza appagata, ma la doccia fu il non plus ultra del godimento.
Una vera doccia, con l’acqua calda di una caldaia a metano.
A Roma avevo uno scaldino che si esauriva dopo 8 minuti.
Quella stessa sera preparai lo zaino per la partenza: l’indomani sarei tornata a fare il consulente.
Diventai di pessimo umore.
Iniziai ad imprecare contro le aziende di consulenza multinazionali che offrivano servizi a basso costo, incoraggiando le aziende parastatali a non fare assunzioni proprie. Imprecavo contro il clientelismo e l’arretratezza della mia terra. Imprecavo contro la ‘ndrangheta e contro la pigrizia e l’immobilità dei calabresi.
Tomasi di Lampedusa aveva scritto che la Sicilia, col suo clima duro e i suoi luoghi d’inferno e paradiso, desiderava il sonno e l’oblio e il nulla.
L’abitudine a lasciarsi vivere e farsi condizionare da fatalità esteriori mi sembrava accomunare tutti gli italiani del Sud.
Inutile investire in una terra sterile, non sboccerà mai niente.
E' questo che pensano tutti.
E anch'io, purtroppo.
La mattina dopo presi l’aereo e tornai a lavoro.

domenica 27 dicembre 2009

26. La consulenza può creare un mostro.

In quel periodo feci amicizia con due consulenti che lavoravano per due diverse aziende di livello nazionale (non multinazionale, eh!).
Si chiamavano Pippo e Marco.
Pippo aveva circa quarant'anni, due figli piccoli e un posto di lavoro in bilico. La sua azienda era sull’orlo del fallimento: alcuni mesi lo pagava, altri no. Non era riuscito a trovare un altro impiego e restava sotto scacco.
Non c’era da stupirsi che fosse sempre scoglionato, che arrivasse in ufficio sempre per ultimo e se ne andasse sempre per primo.
Era lento e all'apparenza tranquillo, e qualcuno diceva che portasse delle lenti a contatto a forma di occhi aperti.
Marco invece aveva 27 anni, una laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni (come me) e un anno di carriera come consultant junior. Il suo lavoro in Mechanix era tutto basato su Internet e consisteva nel cercarsi un altro lavoro e seguire le news dell'Inter.
Dopo qualche mese, quelli di Mechanix gli annullarono la commessa e lo rispedirono alla sua azienda.
Io ci restai davvero male perché avevamo molti punti di vista in comune. Anche lui era del tutto scontento del suo ruolo di operaio programmatore: “Te sei un pischello che studia e s’ammazza pe’cinque anni - minimo - e poi se aritrova a fa’ er lavoro de uno che è appena uscito dar tecnico industriale.”
Aveva cercato in lungo in largo un posto che avesse a che fare con le telecomunicazioni, non l’aveva ancora trovato e continuava a cercare.
Andava avanti con questa filosofia: “Io c’ho provato a seguì er core. Adesso seguo i sordi. Sto lavoro non me piace ma è mejo de’n carcio a li cojoni.”
Marco sapeva un sacco di cose utili.
Mi disse che, nonostante l’utilizzo obbligatorio del badge, i nostri orari non erano controllati come quelli degli interni.
Noi potevamo entrare e uscire a piacimento. Ovviamente con discrezione.
Quando mi vide interessata alla possibilità di lavorare nell'Azienda Parastatale come interna e non più come consulente, mi chiese se avevo dei SANTI.
Gli chiesi che intendeva per "SANTI".
Lui si mise a ridere.
Mi disse che ormai le assunzioni coinvolgevano solo due tipi di candidati: i consulenti che avevano lavorato per almeno dieci anni in un progetto e che ormai erano diventati insostituibili e quelli che avevano I SANTI.
Il SANTO poteva essere un senatore, un politico, un generale, un nobile facoltoso. Insomma qualcuno particolarmente influente.
No, gli dissi, non conoscevo nessun SANTO.
E tornai assai delusa alla mia odiosa attività di bug fixing.
Arnaldo si scaccolava e imparava a fare il coordinatore delle attività del progetto. Si dimostrò subito molto skillato in questo settore.

Sapeva il fatto suo.
Stabilì che io e il pisano (che restava ANCORA - dopo due mesi - in attesa del nuovo portatile), avremmo fatto bug fixing, mentre lui si sarebbe sobbarcato una gravosa responsabilità: sarebbe stato il nostro supervisore.
Arnaldo era il classico supervisore italiano: quello che non supervisiona assolutamente nulla e lascia fare agli altri.
Potevo fare cazzate astronomiche. Lui se ne sarebbe fottuto altamente.
E comunque non aveva gli strumenti per capire se facevo cazzate.
Questa cosa un pò mi divertiva e un pò mi turbava.
Potevo creare un mostro senza che nessuno se ne accorgesse.

giovedì 3 dicembre 2009

25. L'uomo di fumo e l'uomo di naso

Avevo avuto la fortuna di entrare in un progetto nuovo di zecca.
I task andavano ancora definiti e si prospettava una fase di start-up di almeno quattro settimane.
Le giornate passavano tra chiacchiere, riunioni e tanta, tantissima FUFFA.
Non era affatto male.
Non facevo praticamente nulla: ascoltavo discorsi ripetitivi e prendevo qualche appunto di tanto in tanto.
C'erano criticità a destra e a sinistra.
Lo sentivo dire continuamente: "L'attività potrebbe riscontrare questa criticità... e bla bla bla...".
Ero passata da un lavoro con ritmi disumani a un lavoro di nullafacenza.
Ovviamente era solo un periodo transitorio. Quella calma non sarebbe durata a lungo. Anzi, ero più che convinta che presto l'avrei pagata a caro prezzo.
Iniziai a conoscere meglio i miei due colleghi di team.
Il pisano Guido era un cultore della nobile arte del FUMO.
Riusciva a restare seduto per mezz’ora al massimo, poi cominciava a smaniare e diventava inquieto.
Allora usciva fuori, si gustava una sigaretta e tornava dentro rinato.
Non c'erano cazzi: trascorsi i 30 minuti doveva fumare.
Se eravamo nel mezzo di una riunione, trovava una scusa:
“Perdonatemi, vado un attimo in bagno”;
“Scusate, devo fare una telefonata urgente”;
“Scusate, devo chiamare casa per sapere come stanno i bambini.”
Aveva la carnagione scurissima e i denti di un giallo splendente.
Arnaldo invece era un omone gommoso con un doppio mento gigantesco.
In presenza del cliente cercava di assumere la postura e i toni del professionista.
Appena il cliente se ne andava, sbracava i suoi 120 chili sulla sedia e si faceva i cazzi suoi su Internet. Non lo si doveva assolutamente disturbare.
Era taccagno fino alla maleducazione e l’avevo imparato dal primo giorno.
Allora ignoravo che la mensa interna faceva servizio soltanto se si presentava un buono pasto rilasciato da Mechanix.
Chi non possedeva i buoni doveva acquistarli alla mensa stessa, in un unico blocco da dieci, per una spesa totale di sessanta euro.
Controllai il portafogli ma non arrivavo alla cifra.
Mechanix era circondata dal NULLA: tutt'intorno c'erano solo deserto e aziende. Non c'era nessun altra tavola calda dove mangiare.
“Se vuoi, ti VENDO un buono pasto. Hai almeno sei euro?”, mi disse Arnaldo.
Gli diedi i soldi e andai a mensa con lui. Ma quella fu la prima e l’ultima volta: mi sarei portata la merenda da casa.

Trascorse le prime tre settimane di adattamento, saltò fuori che per l’attività di bug fixing bisognava usare un programma molto pesante che richiedeva un PC con 4 giga di RAM.
L’unica ad avercelo ero io. Quindi si stabilì che cominciassi a lavorare SOLO io.
Arnaldo e Guido inoltrarono una richiesta al capo progetto e, in attesa dell’arrivo del nuovo PC, si inventarono delle attività alternative.
Guido tornò a Pisa e Arnaldo restò con me a Roma.
Passava tutta la giornata a studiare su Internet. Non diceva una parola e si scaccolava in continuazione.
Avete capito bene. Si scaccolava.
Quando era concentrato nella sua navigazione si dimenticava del mondo esterno.
Si ficcava mezzo dito nel naso, raccoglieva una pallina di muco e ...
Vi risparmio questo strazio.
In quei momenti mi faceva davvero schifo.

giovedì 26 novembre 2009

24. Ronzando sull'azienda parastatale

Il primo giorno nella sede del cliente fu decisamente formativo.
Sperimentai degli aspetti della vita del consulente che prima ignoravo del tutto.

Un conto è fare il consulente nella propria azienda, un conto è andare a casa del cliente.

Imparai subito che esisteva una suddivisione sacrale invalicabile all'interno comunità: prima c'era l'uomo
INTERNO e dopo, in basso, c'era l'uomo ESTERNO. Io ero una esterna, una specie di extra-comunitaria.
Mi sentivo una mosca che ronzava attorno allo zucchero.

Eravamo in centinaia a ronzare attorno all'azienda parastatale.
Ronzavamo invidiando intensamente i dipendenti interni. Quelli avevano un posto sicuro coi contributi dello Stato.
Non avevo mai visto tanti consulenti in vita mia. Li riconoscevo dal badge provvisorio che tenevano in bella vista sul petto.
Quanto al lavoro, c'era un software chiamato AirFun che andava continuamente in crash. L'ennesimo software progettato male e implementato ancora peggio.
Lo scopo del progetto era tentare di individuare le cause di questi malfunzionamenti e fare le correzioni opportune.

Bug fixing.

Ovviamente il software era già stato messo sul mercato e le modifiche sarebbero diventate degli upgrade.
L'uomo Interno che avevo conosciuto al colloquio di presentazione, Christian Bonni, era il responsabile dello sviluppo di AirFun. Mi spiegò che l'implementazione di AirFun era stata fatta a cazzo di cane perchè, nel corso degli anni, ci avevano messo mano centinaia di consulenti diversi e ognuno di loro era stato costretto a rispettare scadenze ristrettissime. Ogni consulente restava sul progetto circa due o tre anni e poi, alla fine del progetto, se ne andava lasciando parti di codice incompiute o sibilline o semplicemente bacate.
Per conoscere AirFun, che aveva milioni di righe di codice, una persona di media intelligenza avrebbe impiegato almeno due anni.
Non c’era proprio tempo per fare le cose per bene.

Gli Interni erano pochi e avevano per lo più ruoli direttivi.
L'implementazione era compito del consulente.

Insomma, a causa della cattiva organizzazione, della fretta e della mancanza di soldi, AirFun era diventato un grandissimo casino.
Bonni ci accompagnò nel luogo dove avremmo lavorato.
Era uno squallido ufficio a pianterreno, una specie di garage, in cui erano ammassati tanti server. Polvere, ragnatele dappertutto e aria condizionata a palla.
C’erano dei banconi da lavoro mezzi vuoti. Potevamo appoggiare i nostri computer dove trovavamo posto.

E tanti saluti.
Non c’erano postazioni assegnate anzi, per essere precisi, non era previsto che gente esterna avesse una postazione in cui lavorare.
Ovviamente una connessione ad Internet era tabù: noi eravamo degli abusivi e non dovevamo avere accesso alla rete interna di Mechanix.

Questa era la teoria.
Nella pratica, per fortuna, ci si poteva industriare:
i sistemisti di rete non effettuavano controlli rigorosi sull'attività dei consulenti.
Alcuni coraggiosi avevano perfino installato – abusivamente – un proxi che consentiva l’accesso – abusivo – ad Internet.

Dovevamo solo trovare delle prese di rete abilitate.
Scandagliammo tutto lo stanzone, frugammo tra le ragnatele e, alla fine, trovammo un'unica presa di rete funzionante.
In un angolo, in compagnia di una decina di ragni e di uno scarafaggio, c'era un vecchio switch abbandonato.
Funzionava ancora.
Avevamo la rete. La nostra nuova postazione era pronta.

mercoledì 25 novembre 2009

23. Nuovi colleghi licenziati

Il sito dell’ATAC mi elencò i mezzi pubblici per raggiungere Mechanix: Autobus numero 64 fino alla Stazione Termini, poi metro B fino al capolinea, poi un autobus per procedere lungo la Tiburtina. Circa 90 minuti di viaggio.
Per non sbagliare, comprai un abbonamento mensile ai trasporti pubblici.

PM era venuto a trovarmi venerdì sera ma realizzai che era davvero accanto a me soltanto la domenica mattina.
Domenica, il sacro giorno della depurazione.
Abbigliamento turistico, colazione al sacco e via per le stradine del centro. Ci fermammo nella piazza del Vaticano, poi raggiungemmo l’ex-ghetto ebraico e l’isola Tiberina. Roma era bellissima, sentivo bisbigli di storia ad ogni angolo.
Avrei passato mesi e mesi a zonzo per quelle strade. Un giorno alla settimana proprio non mi bastava.
Lo stato di grazia durò fino all’ora di cena, poi il pensiero del lunedì mattina cominciò a crescere in maniera abominevole.
Misi tre sveglie: una alle 6:00, una alle 6:10, una alle 6:15. Mi sarei alzata di sicuro.
Festeggiai l'inizio del nuovo progetto con mezzo litro di birra scadente e mi buttai sul letto con un piacevole senso di vertigine.
Il mattino dopo, alle 6:00 in punto, avevo gli occhi spalancati e i peli dritti: cominciava la nuova avventura.
Mi chiusi in bagno e ne uscii dimagrita di almeno un chilo.
Paura. Eccitazione. Puzza.
Il cesso dell'abbaino non aveva uno scarico normale né un vero sciacquone. Aveva un trituratore di escrementi elettrico che non funzionava nemmeno troppo bene.
Il Frullamerda non doveva essere stressato, altrimenti si bloccava per delle ore.
Iniziava a fare dei rumori strani, tipo bzzzzz bzzzzz, e lasciava il cesso intasato.
In genere era PM a scatenare l'incidente.
E dopo arrivavano le mie reazioni di panico e di indignazione.
"Non puoi intasarmi il cesso tutte le settimane.
La prossima volta vai al bar!
Ma non riesci proprio a controllarti?!?
Non puoi fermarti quando capisci che stai iniziando ad esagerare?!?"
Seguivano lunghe discussioni sulla dinamica della defecazione.
Diventavo proprio una iena, ma avevo le mie ragioni.
Quella mattina, per la prima volta, il Frullamerda si guastò per causa mia.
Era una situazione incresciosa, ma non avevamo tempo per parlarne.
Alle 8:00 eravamo già a Termini: PM al binario della Freccia Rossa per Firenze, io alla banchina della metro.
Era strapiena di pendolari.
Dall’altoparlante uscì una vocina:
“Il treno in arrivo è estremamente affollato. Evitate di salire. È già in partenza un altro treno da Cavour.”
Lo ripeté tre volte.
Io ero già in ritardo, col cazzo che avrei aspettato l’altro treno.
Cercai di farmi spazio per arrivare al limite della linea gialla. Quando il treno arrivò, tra spintoni e manate, riuscii a salire. Stavamo stretti come sardine, faceva caldo e c’era puzza, tanto per cambiare.
Raggiunsi la sede del cliente sudaticcia e sgualcita, ma ero in orario.
In reception incontrai Arnaldo e Guido, i miei due nuovi colleghi di team.
Quando vidi Arnaldo per la prima volta, pensai che era davvero, ma davvero bruttissimo. Mi porse una mano gigantesca, che ben s’intonava con la sua mole di quasi due metri.
Aveva la carnagione scurissima e portava una camicia spiegazzata infilata in un paio di jeans consumati che cercavano disperatamente di contenere una pancia trasbordante.
Sembrava gommoso.
Scoprii che aveva lavorato in una famosa azienda di telecomunicazioni per quindici anni ed era stato licenziato durante i primi mesi della crisi, dopo una lunga agonia di scioperi e manifestazioni.
Per mantenere moglie e figli, Arnaldo si era subito dato da fare. Prima aveva rimediato un lavoro a Milano, poi era riuscito a rientrare a Roma grazie ad un contratto a progetto con TalenTeam.
Il secondo consulente era un pisano di nome Guido, un tipo tracagnotto che aveva lavorato una decina d’anni in un'altra famosa azienda di telecomunicazioni, la S.I.SMEN, come consulente di TalenTeam.
A causa della crisi, la S.I.SMEN di Pisa aveva ben presto annullato tutti i contratti con TalenTeam e una quarantina di consulenti, tra cui Guido, si erano ritrovati senza commessa.
Guido era stato licenziato e poi riammesso con un contratto a progetto che gli avrebbe permesso di lavorare dalla sede di Pisa, facendo qualche scappatella a Roma di tanto in tanto.
A quarant’anni suonati, Arnaldo e Guido erano stati catapultati dentro una nuova realtà e avrebbero lavorato per un cliente del tutto sconosciuto.
Dinamismo e flessibilità sono le principali virtù del consulente, ma la memoria di un uomo di quasi cinquant'anni non è quella di un ventenne.
Capii che non sarei stata l’unica a brancolare nel buio. Anzi, essendo una giovane tabula rasa, avrei potuto avere qualche punto di vantaggio su di loro.


martedì 24 novembre 2009

22. Passaggio di consegne e consigli per presentarsi al cliente

Mi erano rimasti solo tre giorni per ultimare il passaggio di consegne, poi sarei entrata nel nuovo progetto a tempo pieno.
All'inizio pensavo che passare le consegne significasse semplicemente delegare un sostituto.
Già mi ci vedevo nel passaggio di consegne, con l'aria tronfia e soddisfatta a dire:
"Tieni, ragazzo. Finisci il lavoro che IO ho cominciato."
Il project manager Rosario Mori invece aveva un'altra visione del passaggio di consegne: "Cerca di ultimare tutto il lavoro che ti è stato assegnato. Non lasciare niente in sospeso, altrimenti NOI continueremo ad aver bisogno di te e TU dovrai continuare a venire il sabato."
"Glom. Il sabato, dici?"
"Certo. Non vorrai mica mancare dal cliente durante i giorni feriali?!? Mechanix normalmente è chiusa di sabato. Quindi, se c'è bisogno, potrai tornare qui."
Il tutor Enzo Vanni era livido. Incazzato nero.
Non pensava che il mio trasferimento sarebbe arrivato così presto.
Avrebbe perso una risorsa che non sarebbe stata reintegrata in tempi brevi. E lui doveva comunque mantenere lo stesso rendimento.
Sudava sempre di più, si incazzava sempre di più.
Forse non era all'altezza della situazione o forse, semplicemente, rischiava di perdere il posto.
Mori invece era sempre fresco come un quarto di pollo.
Ti chiedeva di fare gli straordinari, ti chiedeva di dare il massimo, ti inculava alla grande, però si manteneva sempre calmo e ti trasmetteva sicurezza.
"La situazione è sotto controllo, non preoccuparti", ti diceva.
Ci sapeva fare.
Sapeva come prenderti.
Ti inculava fino in fondo, però tu restavi col sorriso e quasi lo ringraziavi. Era davvero un grande nel suo lavoro.
"La situazione è sotto controllo, Giulia. Se non finisci il lavoro entro questi tre giorni, potrai tornare i sabati successivi. Se la cosa dovesse prolungarsi troppo, chiederò a Luca di darti una mano. Non preoccuparti, non voglio lasciarti a cavallo di due progetti. Non mi conviene."
Non vedevo l'ora di levarmi di dosso quel dannato progetto TeTi.
Era Mercoledì. Mi restavano Giovedì, Venerdì e Sabato per chiudere tutto.
Quei giorni lavorai come un'ossessa.
Arrivavo in ufficio alle 9:00 e tiravo fino alle 19:30.
Volevo finire. Dovevo finire.
La sera tornavo a casa e mi addormentavo come un sasso, senza nemmeno preparare la cena e senza accendere il computer per spedire curriculum.
Il Sabato, alle 16:30, avevo finito.
Spedii tutto il mio codice ai colleghi del testing e andai da Mori:
"Credo di aver concluso tutto."
"Ti faccio telefonare in caso di problemi".
Ero in libertà vigilata. Il mio codice doveva ancora essere testato, ma ero quasi sicura di aver fatto un buon lavoro.
Adesso potevo godermi il mezzo weekend che era rimasto.
"Allora io vado, Rosario."
"No, aspetta. Prima ascoltami bene.
Da lunedì ti troverai dal cliente e dovrai tenere bene a mente certe cose.
Ricordati sempre che sei molto giovane e quindi sei una risorsa facilmente sostituibile. Il cliente può interessarsi a te solo se tu riesci a farlo affezionare. Non devi apparire come una rappresentante di TalenTeam, ma semplicemente come Giulia. Se ti vedono giovane e cucciolotta possono decidere di adottarti. Punta su questo.”
“Ricevuto.”
“Lì non ci saremo noi a controllarti. Non ci sarà Enzo Vanni a tenerti col culo sulla sedia. Non potremo verificare i tuoi orari quindi dovremo fidarci del tuo buonsenso. Cerca di dare il massimo, spingi più che puoi e sii sempre presente.
E poi, considera che il cliente ti osserva sempre. Conosci Mario Arecchi?”
“No.”
“E' stato uno dei nostri primi consulenti a lavorare in Mechanix. Bravissimo, geniale: gli bastavano poche ore per finire il suo lavoro. Il resto del tempo pensava ai cazzi suoi. Spesso entrava a lavoro alle 11:00 e se ne usciva alle 16:00. Il cliente ce l’ha restituito dopo qualche mese. Non perché non lavorasse bene, ma perché non rispettava le formalità. Per i vecchi manager italiani, la formalità è più importante della qualità”.
“Ricevuto.”
Non disse altro, così filai via di corsa. C'era un mezzo weekend ad aspettarmi.

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venerdì 20 novembre 2009

21. Le virtù del vero consulente IT

Avrei lasciato il progetto TeTi. Entro una settimana avrei abbandonato la sede della mia azienda e avrei iniziato a lavorare direttamente a casa del cliente Mechanix.
Bello.
La vita del consulente funziona così. Da un momento all'altro puoi essere sbattuto dentro un nuovo progetto di cui non sai assolutamente niente.
Se sei fortunato, resti a lavorare nella stessa città. Ma non è raro che ti mandino in trasferta per parecchi mesi a centinaia di chilometri da casa.
E' un buon modo per dimostrare flessibilità e dinamicità.
Il consulente non ha radici, è un cosmopolita felice.
A me in fondo era andata bene: la sede del cliente Mechanix stava a Roma, a circa 50 chilometri dalla mia azienda.
Per i miei standard meridionali, percorrere cinquanta chilometri significava andare in un altro paese. Per il vero consulente IT, 50 chilometri sono un'inezia.
Ero solo agli inizi e non avevo pratica di queste cose, così feci una domanda stupida al mio project manager:
"Presto scadrà l'affitto e dovrò trovare una nuova casa. Mi conviene cercarne una vicina alla sede di Mechanix?"
"Assolutamente no. Cercati una casa che ti piace, senza badare troppo a dove si trova. Il concetto di vicinanza nel nostro lavoro è estremamente precario: tra qualche mese potresti lavorare a Pomezia, per esempio. Rassegnati all'idea di viaggiare tutti i giorni. Un paio d'ore di viaggio al giorno non ti faranno mica male."
 
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